Già nel 2006 Nanni Moretti, nel suo celebre Il Caimano, tramite il personaggio di Jasmine Trinca aveva esternato l’assurdità del fatto che nessuno in Italia avesse ancora realizzato un film su Silvio Berlusconi, specificando come negli Stati Uniti fosse abitudine fare pellicole di ogni tipo e genere sugli esponenti istituzionali più importanti. Da allora il numero di film italiani imperniati sulla figura del Cavaliere è aumentato anno dopo anno, senza tuttavia che nessuno riuscisse ad avere grande impatto sul grande pubblico. Dopo anni di silenzio sull’argomento è proprio Paolo Sorrentino, forte dell’Oscar al Miglior Film Straniero ottenuto con La grande bellezza (2013), a scrivere (assieme ad Umberto Contarello) e dirigere quello che è senz’altro il più sontuoso tra i film dedicati al politico italiano, qui interpretato Toni Servillo, attore feticcio del regista. Sontuoso al punto che la sua durata ha dato un grande contributo nella scelta di distribuirlo in sala diviso in due parti, uscite a poche settimane di distanza l’una dall’altra. Ci sono differenze tra le due parti, come si vedrà in seguito, ma per comodità il film verrà recensito nella sua interezza, come era stato concepito in origine.
Sapendo con quale personaggio avesse a che fare, Sorrentino ha dovuto scegliere un registro particolare per la sua opera. Un film dal tono serioso non sarebbe risultato credibile per il pubblico italiano considerando la fama gigionesca del suo protagonista, rafforzata anche da tutte le parodie che negli anni ne hanno edulcorato la figura; allo stesso tempo, un film prettamente comico avrebbe rischiato di scadere nel farsesco, per le stesse premesse. Sorrentino perciò sceglie di impostare la sua creazione nell’unico modo possibile, ossia costruendo un ambiente esageratamente pop e sopra le righe, ma senza rinunciare alla drammaticità più convenzionale nei momenti in cui appare necessaria.
Come da norma, anche in Loro l’abilità di Sorrentino nel dirigere non è in discussione. Chi, guardando La grande bellezza o Youth, si lamentò dell’eccessiva lentezza nella narrazione e nel ritmo sarà sorpreso dalla visione della sua nuova opera: il Sorrentino più recente ha fatto tesoro dell’esperienza televisiva di The Young Pope e ne ha mutuato il linguaggio adattandolo per il cinema. La regia di Loro è dinamica, piena di colore e accompagnata da un’enorme quantità di musica (popolare), tutti elementi che donano al film una scorrevolezza notevole. È soprattutto la prima parte a porre l’enfasi sulla regia, mentre la seconda si concentra molto più sui dialoghi: dialoghi mai eccessivamente complessi, in coerenza con l’impostazione che è stata data al dittico. Anche i dialoghi nei quali gli altri personaggi citano le illegalità in cui il presidente è implicato appaiono semplici e sbrigativi, come se a pronunciarli fosse un qualunque cittadino italiano discretamente informato. Ciò tuttavia è voluto, proprio perché non sono le attività illecite di Berlusconi a costituire la caratterizzazione del suo personaggio.
Loro infatti non è un film di denuncia, pur non rappresentando certo neanche un’apologia dell’operato del Cavaliere. Il suo obiettivo è mostrare le assurdità di una figura unica nel panorama italiano, con tutte le critiche del caso, senza tuttavia estrometterne i lati più pittoreschi e squisitamente bislacchi, in grado di trasmettere simpatia allo spettatore. Ricorda in questo senso Il fascino discreto della borghesia (1972) di Luis Buñuel, con la differenza che al centro della narrazione Sorrentino mette un singolo uomo piuttosto che un’intera classe sociale, focalizzandosi più sulla sua caratterizzazione che sulla mera critica nei suoi confronti. E se il protagonista è sopra le righe, anche ciò che lo circonda finisce per diventarlo: certi personaggi ed eventi nel film vengono affrontati dando loro un’aura quasi mitologica. Lo stesso Berlusconi non appare né viene chiamato per nome per tutta la prima ora di narrazione, con gli altri personaggi che nel citarlo utilizzano semplicemente il pronome “lui”, costruendogli intorno un campo di irraggiungibilità che l’affarista Sergio Morra (un ottimo Riccardo Scamarcio) riuscirà a superare soltanto nella seconda parte della trama. Gli animali, da sempre presenti nei miti di ogni popolo, non mancano nemmeno in Loro, che ci mostra prima una pecora e poi un rinoceronte in contesti a cui non appartengono, allo scopo di usarli come metafore per veicolare un messaggio: lo stesso uso che se ne è sempre fatto nelle epoche passate.
Tra i personaggi più “mitizzati” del film è impossibile non citare “Dio”. Allo spettatore il suo volto non viene mai mostrato e la sua vera voce mai fatta ascoltare, ed è descritto come una figura potentissima, addirittura superiore a quella di Berlusconi; tra chi lo definisce un massone e chi il capo del Dipartimento della Protezione Civile (mai chiamato per nome in Loro), tutti ignorano la sua identità ma sono concordi nel riconoscerne l’importanza. Stella (Alice Pagani), una ragazza ritrovatasi coinvolta nell’organizzazione delle feste di Morra, viene da egli convinta ad offrire servizi a “Dio” in veste di escort; nella sequenza che racconta l’evento, tutto è avvolto in un’atmosfera dalla bellezza opprimente. In una stanza di un bianco abbagliante e asettico, degna del cinema di fantascienza degli anni Sessanta, Stella viene esaminata più volte da vari medici e alla fine lasciata entrare nella stanza del cliente; immerso nella luce monocromatica emanata dalle lampade, che cambia periodicamente colore accompagnata da un suono, si trova “Dio”, con faccia e inguine coperti da due asciugamani e un distorsore vocale in mano, tutti accorgimenti che lo rendono irriconoscibile. Esclusa fin dall’inizio una prestazione sessuale convenzionale, a Stella viene quindi chiesto di scegliere quale dei due asciugamani rimuovere, con tutte le conseguenze del caso: impaurita dalla conoscenza che deriverebbe dalla rimozione dell’asciugamano posto sul volto, Stella sceglie di rimuovere l’altro, arrendendosi così all’idea di praticare una masturbazione all’uomo. Il compiacimento di un’entità che non si conoscerà mai, base della religione, viene qui mostrato come rappresentazione del potere, quello vero, terreno, che sono in pochissimi a detenere.
Altro personaggio dalla caratterizzazione memorabile è Paolo Spagnolo. Interpretato da un efficacissimo Dario Cantarelli, indossa un completo e delle scarpe totalmente bianchi e segue Berlusconi ovunque vada. Personalità serissima e di poche parole, viene definito come colui che “erge mura” tra il suo superiore e chiunque altro. Fedele al suo compito, Spagnolo sorveglia costantemente il territorio attorno all’abitazione del capo e liquida ogni presenza indesiderata intimandole di allontanarsi, con dialoghi decisi e una calma serafica. Il suo ruolo sembra infatti andare oltre quello di una semplice guardia, risultando quasi un angelo custode, tra i pochi a conoscere Berlusconi nel profondo e tra i pochissimi in grado di accontentare le sue esigenze.
L’iconografia che negli anni la macchina berlusconiana ha contribuito a diffondere, e che a volte addirittura ha creato, è presente anche nel film in varie forme: il numero musicale eseguito dalle tante vallette, che ballano e cantano il celebre inno al Cavaliere “Meno male che Silvio c’è”; le televendite; il gioco a premi con Mike Bongiorno (Ugo Pagliai, che ne coglie tutto lo spirito rassicurante), il quale fu uno dei più storici acquisti televisivi di Fininvest ai danni della RAI; il promo del nuovo sceneggiato made in Mediaset, con un’improbabilissima Lady Diana. Molti di questi elementi negli anni sono stati definiti da varie voci, esagerando, la causa della rovina culturale italiana; qui il loro scarso valore di produzione e contenuti viene enfatizzato come parte del gioco della critica, ma risulta quasi inevitabile accostarlo alla decadenza della figura che ne ha reso possibile la diffusione.
Berlusconi infine: è ormai chiaro che la sua influenza in Loro si manifesta sotto una miriade di forme, espressione del fascino di Sorrentino per il potere. Spicca particolarmente un dialogo all’inizio della seconda metà del film, nel quale Servillo si spoglia dell’accento milanese, che spesso dà al suo personaggio un tono quasi macchiettistico, per riprendere il suo naturale accento napoletano: nel dialogo Berlusconi crea per sé stesso un personaggio e contatta una signora al telefono per convincerla ad acquistare una nuova abitazione presso la sua società edilizia. Talmente intensa è la sua interpretazione da riuscire a smuovere nel profondo i sentimenti della donna e farle considerare l’offerta, mostrando suadenza e abilità di persuasione quasi degne di quelle di un diavolo. Ma in realtà il Berlusconi di Sorrentino è profondamente umano, con tutti i suoi difetti, i suoi fallimenti, le sue aspettative deluse. Non riesce a ricucire i rapporti con la moglie Veronica Lario (Elena Sofia Ricci), viene rifiutato dalla stessa Stella che si è concessa a “Dio”, non raccoglie l’interesse di nessuno dei suoi ospiti nel vedere il vulcano artificiale che tiene in giardino, perde gradualmente tutti i suoi alleati man mano che la sua carriera politica decade. Sorrentino è interessato ai palazzi del potere, ma mostra anche le crepe che questi si portano appresso. E fa terminare il film con la desolazione successiva al terremoto dell’Aquila del 2009: palazzi distrutti e un silenzio schiacciante.
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