Maniac è una miniserie di Netflix, rilasciata il 21 settembre. Interamente diretta da Cary Joji Fukunaga ha come protagonisti un cast all-star guidato dalla coppia Emma Stone-Jonah Hill. Basata su un format norvegese, la miniserie è composta da dieci episodi di durata variabile (dai 47 ai 29 minuti).
Maniac attinge da numerosi cult come Se mi lasci ti cancello, 2001: Odissea nello Spazio e, sotto certi aspetti, si rifà a un look fantascientifico degli anni Sessante e Settanta. Una tecnologia vintage, old-style dove c’è una involuzione/ evoluzione (L’A.I è altamente evolutiva ma la struttura grossa e con led e fax ricorda i mega computer degli anni Cinquanta). La miniserie elabora numerosi spunti e crea un mondo coeso per veicolare una propria storia originale, molto peculiare e paradossale.
Il prodotto seriale racconta della mente, dei traumi e delle patologie che affliggono la mente e che la tengono “prigioniera”. Una limitazione che impedisce alle persone di vivere serenamente le loro esistenze e di “lasciarsi alle spalle” problemi psicologici derivanti da eventi nefasti. Ma non solo, lo show è incentrato sulla guarigione della mente. Di ogni trauma derivante dall’organo più importante dell’essere umano: il cervello. Per questo motivo, l’esperimento centrale alla basa della serie si focalizza nell’inconscio, di rivivere, attraverso tre fasi (con tre pastiglie, A, B e C) momenti chiave per guarire dalla patologia.
Owen Milgrim e Anne Landsberg sono due anima afflitte e non riescono a vivere appieno le loro vite. Insoddisfatte di provare contatto emozionale e di superare dei traumi, si ritrovano, casualmente, come cavie di un esperimento presso una casa farmaceutica che sta tentando una nuova terapia per eliminare ogni trauma dalla coscienza dei pazienti. Owen, schizofrenico e con difficoltà a stare connesso con la realtà, è schiacciato dal peso di testimoniare il falso per salvare suo fratello dall’accusa di violenza sessuale mentre Anne abusa costantemente della pastiglia A della terapia per rivivere l’incidente che ha provocato la morte di sua sorella.
La tecnologia alla basa della terapia è un super-computer Gertie, in grado di “curare” i pazienti, facendoli addentrare nella loro psiche, nel loro inconscio. Tre fasi per rivivere, elaborare e superare il trauma. Le fasi più interessanti sono le ultime due in quanto permetto di svoltare e di creare i presupposti per una “totale” guarigione. Tuttavia, sin dalle prime battute, questa ultra tecnologica terapia si dimostra fragile e “altamente infiammabile”. Difatti, il suo creatore, il dottor James Mantleray, è a sua volta afflitto da blocchi emotivi psicologici dovuti alla sua non-relazione con sua madre, una psicologa di fama mondiale. Gerti è stata plasmata secondo un modello simile a quello della madre del dottore ma, a causa di un problema depressivo, il computer diventa ingestibile e mette in pericolo la vita dei pazienti.
Per combattere i propri traumi, pazienti si avventurano in una serie di esperienze paradossali, che li guidano, a piccoli passi, verso una risoluzione. Owen e Anne, incredibilmente, vivono esperienze legate e che si intrecciano. Vivono momenti sovrapposti, intrecciando le loro esperienze di superamento del trauma. Due anime gemelle che il destino riunisce per vivere emozioni comuni e per legare due persone fragili che si fanno forza l’un l’altro.
Maniac tratta della coscienza umana robotica e della digitalizzazione del proprio inconscio. Tuttavia si tratta di un espediente per fare una critica verso una società fortemente convinta che le medicine e l’avanzamento tecnologico siano la soluzione ad ogni male. Per questo motivo, c’è il continuo abuso di pillole per superare ogni problema e ci si focalizza costantemente su tecnologie avanzate che, spesso, sono il fulcro dello sviluppo di alcune patologie psicologiche (isolamento, perdita di empatia e di contatto con la realtà). Mere vie di fuga che vengono criticate dall’intera storia.
La storyline del super-computer è ispirata a 2001: Odissea nello spazio in quanto, alla fine, Gertie svolge la funzione di villain, di elemento tecnologico che cerca di prevaricare sull’uomo e che, nel suo delirio, si ribella. Una coscienza artificiale modella su una psicologia umana che prende consapevolezza della propria esistenza e perciò, anziché essere guidata e subire ordini, preferisce comandare e decidere in modo autonomo. Maniac riscrive l’archetipo seguendo una propria storia e perciò il conflitto del pc scaturisce da una patologia psicologica: la depressione. Un paradosso che si rivela chiave per l’intera vicenda.
La miniserie tratta della mente umana, dei suoi conflitti ma si tratta di un artificio per parlare delle emozioni, del cuore umano e dei suoi sentimenti. I traumi vanno superati prima con l’animo e poi con la mente. Ogni personaggio di Maniac è vittima di qualche problemino psicologico, chi più chi meno.
Che cos’è la normalità? Lo show si pone questa domanda e alla fine, la risposta è che non esiste. Ognuno di noi ha dei traumi psicologici, fanno parte dell’arco di crescita di ogni persona, e l’importante non è “eliminarli” ma superarli trovando dentro di sé la forza per metterseli alle spalle. Trovare un punto di equilibrio per convivere con essi, in modo di vivere la vita serenamente e senza condizionamenti del proprio io. In Maniac, grazie all’intreccio delle relazioni tra Owen e Anne, emerge che il male assoluto della società è la solitudine. Senza un contatto emotivo esterno si è obbligati a fare i conti con il proprio punto di vista e perciò a “dialogare” con il proprio se avendo un’unica visione traumatica che ci affigge e perciò ci condiziona psicologicamente e ci limita. Attraverso la creazione di legami emotivi è possibile svincolarsi dai propri preconcetti mentali e permette di elaborare le proprie paturnie piscologiche seguendo una prospettiva differente e senza essere vittima del proprio severo giudizio.
Dal punto di vista visivo, le tre fasi vengono vissute attraverso delle esperienze cognitive che si intrecciano e che sfruttano diversi generi cinematografici: il gangster, il dramma, la spy-story e il fantasy. La diegesi segue un ordine cronologico ma, sotto certi aspetti, la storia è atemporale. Seguendo la linearità, il tutto dovrebbe svolgersi nell’arco di due/tre giorni per fare un balzo molto tempo dopo per la risoluzione e il ricongiungimento di Owen e Anne. La regia è impeccabile, semplice e pulita con alcuni momenti “d’alto livello” con il piano sequenza nella vicenda da spy-story (nono episodio). Lo stesso dicasi per il cast, bravo ma dove nessun attore emerge in maniera entusiasmante. Bravi ma niente di più.
Complessivamente, Maniac, con tutte quelle riflessioni attraverso l’assorbimento di trovate fantascientifiche, è una miniserie altalenante, discontinua e che non aggiunge niente di nuovo a vecchi prodotti sci-fi bizzarri che anch’essi hanno esplorato la psiche umana. Priva di mordente, spesso si rivela irregolare e poco d’impatto. Nonostante le trovate bizzarre e grottesche, non riesce ad offrire uno sguardo nuovo ed efficace. Pugni nel vuoto che colpiscono poco a livello emotivo. E’ un inno all’amicizia e ai legami affettivi ma la sua storia disfunzionale non sempre si rivela ideale per veicolare tale concetto. È una miniserie sterile, che spara a salve e che lascia impalpabili.
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