A dieci anni dal suo inizio, uno dei progetti più ambiziosi della storia del cinema è arrivato al suo culmine. Con Avengers: Infinity War il Marvel Cinematic Universe (MCU) si avvia a chiudere una macrotrama che viene portata avanti ormai da 19 film; il progetto, redditizio come mai prima d’ora, è destinato a continuare, ma lo farà basandosi su nuove linee narrative che si preannunciano decisamente diverse da quelle sviluppate finora. Diretto dai fratelli Russo e scritto dalla coppia Christopher Markus/Stephen McFeely, come vari altri film della saga particolarmente importanti per il suo sviluppo, Infinity War vanta un cast numerosissimo, formato dalla maggior parte degli attori protagonisti dei rispettivi film all’interno del MCU; un cast che rappresenta uno dei principali componenti dell’immenso budget del film, superiore a 300 milioni di dollari e tra i cinque più elevati di sempre. L’evento intorno al quale viene costruito Infinity War è l’impresa del tiranno alieno Thanos (Josh Brolin), già visto o menzionato più volte nei film precedenti, che consiste nel recuperare le sei Gemme dell’Infinito, anch’esse già note agli spettatori abituali del MCU; i collegamenti tra le Gemme e i personaggi della saga porteranno i suddetti ad un inevitabile incontro, reso ancora più importante dalla necessità di unire le forze per sconfiggere l’antagonista.

Il film risulta all’altezza delle aspettative. Ricco di azione girata con mestiere, Infinity War riesce a gestire un gran numero di sottotrame e a farle convergere con un ritmo che, nonostante la durata forse leggermente eccessiva, coinvolge dall’inizio alla fine. I fan non sono stati scontentati, regalando ai loro amati personaggi nuovi outfit e nuove armi che aumentano la spettacolarità dell’azione e strizzano ancor più l’occhio ai fumetti da cui tutto ha avuto origine; una menzione speciale va al potenziamento di Spider-Man (Tom Holland), un meccanismo formato da quattro braccia meccaniche, che sommate ai quattro arti naturali del ragazzo formano un totale di otto arti, proprio come quelli dei ragni cui il personaggio è ispirato. Ancora più rilevante il cambiamento di Captain America (Chris Evans), ormai spogliato di tutto ciò che lo legava agli Stati Uniti, che non indossa più i colori e i simboli americani e viene chiamato semplicemente “Capitano” o “Cap” dagli altri personaggi. Tutte caratteristiche, quelle elencate finora, che comunque rientrano perfettamente nei canoni del genere (o meglio, sottogenere) supereroistico. Il più grande punto di forza di Infinity War infatti è proprio quello in grado di fungere da spartiacque con gli altri film dello stesso filone, ossia il controverso finale, apocalittico come mai si era visto in una pellicola di supereroi. Un finale mesto a tutti gli effetti, come testimoniano gli stessi titoli di coda, che per una volta si spogliano della sfarzosità tipica dei film Marvel e si riducono a semplici scritte bianche che appaiono e scompaiono su uno schermo completamente nero: una finezza stilistica che può risultare facilissima da trascurare. Chi è avvezzo ai meccanismi di produzione dei cinecomics tuttavia non resterà troppo di stucco per questo finale, consapevole che tutto ciò che è stato disfatto può essere rifatto in ogni momento.

Un altro elemento fondamentale per l’identità del film è il volontario squilibrio di caratterizzazione tra Thanos e l’insieme degli eroi che gli tengono testa. Già ai tempi del primo The Avengers, scritto e diretto da Joss Whedon nel 2012, era successo che la caratterizzazione dei singoli personaggi fosse stata messa da parte in favore di un altro elemento; questa operazione, allora come adesso, è stata resa possibile dal fatto che i singoli eroi hanno avuto in precedenza film loro dedicati, permettendo, nei film collettivi, di concentrare più azione del normale e privilegiare scambi di battute volti più che altro a divertire lo spettatore. In Infinity War a questi elementi si è aggiunta una componente fondamentale, la focalizzazione sull’antagonista Thanos, praticamente assente nei film precedenti. Le motivazioni di Thanos vengono finalmente rivelate, il suo background esplorato e la sua psicologia chiarita. I traumi del suo passato lo hanno portato a sviluppare un’idea dannosissima e a cercare di portarla a compimento allo scopo di impedire il ripetersi  dell’evento che lo ha tristemente segnato. Supportato anche dall’interpretazione di Josh Brolin, più intensa della recitazione media nei cinefumetti, Infinity War dà vita a un tipo di antagonista tra i più pericolosi in assoluto, quello convinto che il proprio punto di vista, per quanto terrificante, illogico e catastrofico, sia l’unico che permetta di raggiungere obiettivi elevati, nobili. La centralità di Thanos è ribadita persino nei titoli di coda: di norma alla fine di questi ultimi viene scritta una frase per preannunciare il ritorno del protagonista del film dedicato. Al termine dei titoli di Infinity War appaiono sullo schermo le parole “Thanos will return”, a ribadire la gestione del personaggio e la sua preminenza sui comprimari.

Tutto ciò ovviamente non rende Infinity War un film privo di difetti. I volenterosi si saranno affrettati a trovare tutti gli innegabili difetti di sceneggiatura, anche se alcuni di questi potrebbero essere chiariti nei capitoli successivi (l’uscita del sequel è programmata per il 3 maggio 2019). Il più grande difetto del film però si manifesta quando lo si prende e giudica in rapporto al contesto seriale cui appartiene. Per rendersene conto bisogna innanzitutto immaginare di fruire del film come si faceva in passato, prendendolo come opera a sé stante: nonostante tutti i pregi già elencati, in tal caso diventa molto più difficile dare un giudizio entusiasta alla pellicola, per il semplice fatto che i suoi protagonisti, essendo già stati esplorati negli anni precedenti, risultano caratterizzati in modo superficiale e la trama molto più confusionaria. Il problema di Infinity War è che viene compromesso anche se fruito nel modo opposto, ovvero da spettatore ben informato sulla produzione del MCU e conscio di tutto ciò che verrà realizzato in futuro: sapendo già quali film saranno prodotti negli anni seguenti e quali attori ne faranno parte, tutta la potenza derivante dal suo finale viene soffocata, poiché l’emozione causata dalle morti dei personaggi diminuisce in modo inevitabile con la consapevolezza di un loro futuro ritorno. L’unica maniera di fruire Infinity War senza doverlo “svalutare” sarebbe dunque quella di vedere il film come un tassello dell’enorme universo condiviso Marvel/Disney, ma senza conoscere nulla di ciò che questo presenterà in seguito: un modo decisamente forzato, che però si rivela necessario sempre più spesso in un mondo in cui la serialità al cinema cambia sempre più. Non ci è ancora dato sapere se un simile cambiamento nella fruizione (e di conseguenza nell’analisi) dei film in serie diventerà la norma. Al momento non si può che considerarlo un limite.

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