Dopo tre anni dalla precedente, è tornato Fargo, serie antologica di Noah Hawley, ispirata al cult dei fratelli Coen, con una quarta stagione che si discosta, in parte, dalle precedenti. Il rischio di ogni serie antologica è proprio quello di dover cambiare storie e, in parte, tematiche da una stagione all’altra cercando, però, di mantenere lo stesso stile e la stessa qualità.

In questo caso questo discostamento inizia proprio dall’anno in cui è ambientata la storia: il 1950, molto prima rispetto alle precedenti tre stagioni. Per la precisione, inizialmente, siamo catapultati nel 1920, dove ci vengono mostrati i meccanismi e i cambi di potere in una Kansas City in balia delle gang criminali, pronte ad accordarsi secondo un certo codice ma anche pronte, al momento opportuno, a eliminarsi l’un l’altra per la conquista del potere. Arriviamo, dunque, nell’anno in cui sono ambientate le vicende, facendoci conoscere le due gang protagoniste: la mafia italoamericana, con la famiglia Fadda, e una banda di afroamericani, con a capo Loy Cannon (Chris Rock) .

Già da questo incipit notiamo una sostanziale differenza con le altre stagioni e anche il film stesso. Siamo, infatti, di fronte a una storia di lotte tra gangsters, di quelle che vediamo in molte altre serie teleisive e di cui siamo anche abituati a vedere. Si perde, quindi, quell’originalità che ci aspettiamo e che ci ha accompagnato per tre stagioni, mostrandoci una vicenda e una storia molto inflazionata in questi anni.

La metafora del lato criminale dentro ognuno di noi, qui non è presente, in quanto quasi tutti i personaggi mostrati sono dei veri gangsters appartenenti alla criminalità organizzata, oppure, come nel caso dell’infermiera e delle due fuggitive, criminali per il proprio piacere di farlo. Non vediamo l’emergere del lato mostruoso e violento di persone comuni o l’effetto che delitti e bugie possono provocare. Come non vediamo questi criminali improvvisati collidere con vicende molto più grandi di loro e con veri criminali.

Qui, inoltre, non vediamo personaggi che potremmo definire “da Coen”, uno su tutti Lorne Malvo nella prima stagione o il Varga della terza, ma veri e propri gangsters, fatta eccezione per l’infermiera Mayflower o l’Us. Marshal mormone interpretato da Timothy Olyphant, anche se quest’ultimo poteva essere utilizzato maggiormente.

Nella quarta stagione di Fargo tutto questo viene sostituito da una gangster story ben fatta e sicuramente ben recitata (con la presenza di numerosi attori italiani, come Salvatore Esposito), ma che si discosta sicuramente troppo dalle tematiche e dallo stile di quel Fargo che dal film e dalla stupenda prima stagione ci avevano abituato. Questo ci da la sensazione quasi una normale, seppur ottima, gangster story americana, che solo nelle ultimissime puntate riesce a darci una sorta di collegamento tematico con le stagioni precedenti, ricordando di chiamarsi Fargo.

 

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