Il lungometraggio animato targato Netflix è una piccola perla capace di non sfigurare di fronte alle più blasonate pellicole Disney e apre una nuova strada per quanto riguarda il cinema d’animazione.
“NO BARRIERS!”
Dopo il successo di Klaus, Netflix torna nuovamente a far parlare di sé per quanto riguarda il cinema d’animazione, con una pellicola veramente originale come stile e contenuto.
Over The Moon prende spunto da una leggenda del folklore cinese: Chang’e, moglie del mitico arciere Houyi, diventa la Dea della Luna dopo che un frutto magico l’ha fatta levitare fino al cielo. Il frutto le dona inoltre l’immortalità ma, allo stesso tempo, le fa perdere qualsiasi contatto con il suo pianeta d’origine e con l’amato Houyi per cui non può fare altro che rimanere sul suo spicchio di Luna ad aspettare che l’amato la raggiunga un giorno. Unica sua compagnia è il coniglio lunare che lavora a creare un elisir di lunga vita per Houyi qualora questo riuscisse a raggiungerla.
Pearl Studio (giovane casa di produzione nata come succursale asiatica della DreamWorks), in collaborazione con Sony e Netflix, rielabora in chiave contemporanea questa leggenda.
L’azione si svolge in Cina ai giorni nostri: la protagonista, Fei Fei, è una bambina che deve affrontare il lutto per la recente perdita della madre. Fei Fei vive unicamente in funzione del suo ricordo e della celebrazione della Festa della Luna (celebrazione autunnale che ricorda proprio la leggenda di Chang’e), alla quale la madre stessa era molto legata. La sua vita viene sconvolta nel momento in cui il padre le presenta la sua nuova compagna, Mrs. Zhong (doppiata in originale da Sandra Oh) e suo figlio Chin, un bambino tremendamente iperattivo e appassionato di ping pong che pensa di avere dei superpoteri.
Fei Fei non accetta la nuova situazione che si è venuta a creare in casa e vede il gesto del padre come un tradimento nei confronti della madre defunta. Decide così di andare sulla Luna tramite un razzo artigianale costruito da lei stessa in casa (è appassionata di scienza ed astronomia) per raggiungere la mitica Cheng’e e dimostrare così al padre che l’amore eterno esiste e quindi anche il ricordo della madre va onorato in quanto tale.
Il razzo costruito da Fei Fei riesce nel suo obiettivo, ma la giovane astronauta non ha considerato due piccoli particolari: la presenza del fratellastro Chin, opportunatamente intrufolatosi di nascosto all’interno del razzo, e il fatto che Cheng’e (doppiata dall’attrice e cantante Phillipa Soo) è tutt’altro che la creatura angelica e romantica che lei aveva immaginato…
Sebbene la pellicola presenti varie ingenuità per quanto riguarda le sue premesse narrative (le motivazioni per cui Fei Fei decide di imbarcarsi nel suo viaggio sono abbastanza discutibili) e lo stesso svolgimento dell’azione appaia molto semplicistico, Over The Moon presenta un ottimo miscuglio di folklore tradizionale e pop culture, includendo al suo interno elementi tipici del fantasy e della sci-fy e mostrando elementi tipici della cultura di riferimento come il fenomeno K-POP (a cui si rifà la meravigliosa colonna sonora e le canzoni firmate da Steven Price).
Un mix di cultura occidentale ed orientale che viene espresso anche nella tecnica d’animazione scelta. Il regista Glen Keane (animatore di classici del Rinascimento Disney e co-autore del corto Premio Oscar 2018 Dear Basketball) dimostra ancora una volta il suo amore verso l’animazione tradizionale e il 2D ma stavolta decide di includerlo all’interno della spettacolare CGI presente nella pellicola, riuscendo nell’impresa di fondere le due tecniche d’animazione rendendo invisibile all’occhio inesperto i passaggi fra una tecnica e l’altra.
Si passa infatti da una tecnica di disegno tradizionale (soprattutto nella prima parte in cui viene presentato il mito di Cheng’e), ai cambi di luce e colore prettamente digitali della seconda parte, ma senza che nessuna delle due si sovrapponga eccessivamente all’altra, bensì facendosi forza a vicenda in maniera coerente con lo sviluppo della trama. In particolare è di grande effetto la resa del suolo lunare, di impronta quasi documentaristica, che fa da contraltare al mondo colorato e vivace di Lunaria (il regno in cui vivono Cheng’e e la sua stramba corte composta da animali e mooncakes viventi). I colori inoltre giocano con gli stati d’animo dei protagonisti, raggiungendo vette di lirismo artistico che non si vedevano da tempo nel cinema d’animazione.
Il film mantiene dall’inizio alla fine un tono leggero e scanzonato ma non per questo superficiale. Anzi, il tema portante della storia (l’elaborazione del lutto per la perdita di una persona cara) viene sviscerato in maniera per nulla banale, alimentato dalla natura spesso conflittuale e contradditoria dello stesso personaggio di Cheng’e. Quest’ultima risulta veramente complessa e sfaccettata, di volta in volta mentore per la giovane Fei Fei ma anche antagonista della stessa. Si tratta di un personaggio a tutto tondo che rappresenta i diversi modi con cui è possibile affrontare un trauma emotivo e la solitudine correlata ad esso.
Non mancano comunque scene di pura action e momenti di comicità dati dai numerosi comprimari-macchiette (tra cui il buffo consigliere Gobi doppiato da Ken Jeong), i quali fanno il loro dovere ma senza apparire troppo esagerati o slegati dal contesto generale.
Insomma un perfetto film per famiglie che può risultare godibile sia da un pubblico adulto che dai bambini, e che dimostra di aver appreso bene la lezione dei grandi classici Disney e Pixar a cui strizza continuamente l’occhio. Fra le varie scene, in cui i dialoghi e le musiche fanno la parte del leone, c’è anche lo spazio per una piccola sequenza “slapstick” interamente muta fra la coniglietta domestica di Fei Fei, Bungee, e il Coniglio Lunare. Tale sequenza è fortemente debitrice dello stile “Silly Simphonies” di disneyana memoria.
Con questo lungometraggio Netflix si pone, di fatto, in aperta competizione con la “Casa di Topolino” provando a superarla nel suo stesso territorio prediletto (il lungometraggio d’animazione). Per fare questo ha deciso di puntare tutto sulle maestranze tecniche ed artistiche (il già citato regista Glen Keane e la compianta sceneggiatrice Audrey Wells, ricordata a fine film) e su una ricerca tecnica e stilistica che si fonda sulle collaborazioni e partnership extra-USA per creare un nuovo stile d’animazione che, pur partendo da un modello statunitense, viene di fatto contaminato con modelli artistici di altri paesi.
Era già accaduto con la collaborazione europea per Klaus, ora il mercato di riferimento è quello asiatico, peraltro non indifferente anche per la stessa Disney, che si appresta a far uscire un nuovo classico che pare più o meno sullo stesso stile di questo.
Over The Moon si dimostra, in questo, un prodotto vincente poiché molto competente e rispettoso della cultura di riferimento presentata, facendo leva inoltre su un cast completamente asiatico (oltre ai doppiatori già citati, da segnalare anche la presenza di John Cho, Margaret Cho e Kimiko Glenn).
Il risultato finale è un lungometraggio unico nel suo genere, che appassiona e stupisce per la sua perfezione stilistica ed emoziona con i suoi dialoghi e le canzoni degne di un vero e proprio musical (da segnalare Rocket To The Moon cantata, nella versione italiana, da Elodie).
Un fantasy fantascientifico che travalica tutte le barriere e muri (in tutti i sensi!) culturali, stilistici e di genere. E che per questo motivo appassionerà di certo un pubblico molto vasto ed eterogeneo (complice la distribuzione netflixiana). Il competitor perfetto per la Disney per quanto riguarda i prossimi Premi Oscar!
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