“Non è remake, non è spin-off, non è opera originale. Sa soltanto quello che non è”
Senza scomodare troppo Balto per la citazione sovrastante, è comunque questa la definizione esatta per il film The Jesus Rolls, tradotto, in italiano, con il titolo emblematico di Jesus Rolls – Quintana è tornato.
L’obiettivo del regista (e interprete principale della pellicola) John Turturro, era quello di approfondire e rispolverare il personaggio di Jesus Quintana, strampalato giocatore di bowling divenuto iconico grazie alla pellicola cult dei fratelli Cohen The Big Lebowski. Una pellicola, dunque, presentata fin da subito come “sequel” della pellicola originaria, salvo poi precisare che sarebbe stato una sorta di “spin-off” con una vicenda completamente slegata dal film dei Cohen, pur mantenendo il personaggio come protagonista principale.
Questa precisazione potrebbe sembrare scontata e/o superflua, ma nel caso specifico niente come The Jesus Rolls dà effettivamente ragione a Nanni Moretti per quanto riguarda l’assunto che le parole sono importanti e proprio su questo punto una riflessione andrebbe fatta sul modo con cui la pellicola è stata presentata al grande pubblico. Poiché, è ovvio, il film ha riscontrato fin da subito un interesse immediato, soprattutto tra i fan cinefili, ben contenti di ritrovare sullo schermo uno dei personaggi più amati della filmografia dei Cohen. E non si parla soltanto di titoli di giornale accattivanti e una rassegna stampa che, nei fatti, ha puntato tutto su questo fattore per annunciare la pellicola e farne pubblicità. Persino la locandina e il trailer del film richiamano fin da subito alla mente le sequenze del Grande Lebowski, facendo leva su dialoghi e immagini che richiamano alle “gesta eroiche” sulle piste da bowling, e circondandosi di un’atmosfera “spagnoleggiante” che richiama alle origini e al carattere “latino” del personaggio.
Non che tutti questi elementi non siano presenti nella pellicola (anzi lo sono forse fin troppo, esagerando alcuni comportamenti del personaggio che nella pellicola originaria erano più spontanei), ma non ne sono certamente il fulcro narrativo. Anzi, si può affermare che in realtà la storia parla di tutt’altro, e al mondo del bowling rimangono solamente alcune brevi (e sinceramente poco significative) scene, tanto che forse sarebbe necessario andare a rivedersi l’intervista di Turturro sulla genesi del film prima di andare a vederlo al cinema, poiché potrebbe sembrare fuorviante in questo senso.
Anche la scelta del sottotitolo italiano “Quintana è tornato”, sembrerebbe fare continuamente riferimento ad una “prosecuzione” della storia già vista in The Big Lebowski, quando il film in realtà è tutt’altra cosa.
The Jesus Rolls “utilizza” il personaggio di Jesus Quintana per immergerlo in una storia a sé, totalmente slegata alla pellicola originale. Anzi, se proprio volessimo trovare un precedente dovremmo trovarlo nel film del 1974 I santissimi (Les Valseuses) di Bertrand Blier, di cui la pellicola è effettivamente il remake.
Il film, infatti, racconta il viaggio picaresco di due ex-galeotti, Jesus (John Turturro) e Pete (Bobby Cannavale), alla ricerca perenne di soldi e sesso (soprattutto la seconda). I quali dopo un “fortuito” incontro con l’amica Marie (Audrey Tautou), danno il via ad un inedito mènage à trois che si trasforma ben presto in un percorso di formazione ironico e anarchico alla ri-scoperta dei piaceri (del sesso e) della vita.
Turturro e Cannavale si rivelano ottimi eredi di Gerard Depardieu e Patrick Dewaere (protagonisti della pellicola originale), così come Audrey Tautou che, con la sua mimica e gestualità da sempiterna ingenua è una perfetta rivisitazione, in chiave moderna, di Miou-Miou. Purtroppo è la storia che si presenta fin da subito come trita e ritrita, un road-movie ambientato nella provincia newyorchese che gira attorno a sé stesso senza trovare una via d’arrivo.
Così era anche la pellicola originale ma almeno lì era insito un discorso di critica sociale che qui manca completamente. Sembra, a tutti gli effetti, un semplice divertissement che vorrebbe, nelle intenzioni, ricalcare l’umorismo non-sense dei fratelli Cohen. Ma anche in questo caso il tentativo è riuscito solo a metà. Perché anche se le idiosincrasie del personaggio ci sono tutte, la pellicola manca di quel cinismo di fondo che si trovava nel Grande Lebowski (oltre al fatto che le pellicola dei Cohen aveva una trama di fondo ben più coerente), preferendo piuttosto un ritmo e un umorismo più “europeo” in cui alle risate vengono associati dialoghi (abbastanza banali in realtà) che vorrebbero essere riflessioni esistenziali sulla vita, sulla morte e sulla ricerca della felicità.
Un film, dunque, che è un miscuglio di tante cose, ma di tutto questo miscuglio non riesce a creare, in compenso, qualcosa di conforme e di originale. Rimane solo un omaggio ad un certo tipo di cinema europeo (in particolare quello francofono), come dimostra anche la distribuzione della pellicola da parte di Europictures. Il problema sta nel fatto che il pubblico a cui è pensato non è esattamente quello dei fratelli Cohen, né tantomeno quello mainstream americano (forse a quello del Sundance, ma anche quello viaggia ormai su ben altri binari).
E in effetti il problema reale è che non si capisce bene il significato dell’utilizzo del personaggio di Quintana in QUESTA particolare pellicola se non (a pensare male) proprio per il richiamo che il personaggio porta con sé. Come un semplice “capriccio” di Turturro nel voler a tutti i costi riportare in vita un personaggio per il solo gusto di farlo, ma senza un significato preciso dietro. È vero che il personaggio “apparteneva” a Turturro ben prima del film dei Cohen (i registi lo inserirono dopo aver visto un monologo del personaggio di Turturro a teatro, ndA), e che quindi era lecito poter pensare a questo in un contesto diverso da quello del film del 1998, ma a maggior ragione questo fa risultare inutili tutte le scene iconiche della pista da bowling così come tutti i riferimenti alla pellicola dei Cohen che non ci azzeccano nulla con il percorso di formazione che i tre protagonisti intraprendono.
In generale quindi il film è un tentativo “ingenuo” di rendere omaggio al film di Bier, con un umorismo in realtà spicciolo e situazioni surreali pensate ad hoc, che vorrebbe rilasciare un messaggio di libertà e anarchia e riflessioni sulla vita ma di fatto banalizzando il tutto nel tentativo di rendersi forzatamente “simpatico” e goliardico a tutti i costi. Rimane l’ottima interpretazione di Susan Sarandon, la cui breve (ma molto incisiva) parte è forse l’unico elemento degno di nota che salva la pellicola da una noia totale.
Una pellicola dunque che, al di là dell’ottima fotografia e delle colonne sonore sempre azzeccate, risulta essere “vuota” al suo interno, senza significato né scopo precisi. Ma soprattutto che rischia di scadere nel ridicolo. E lo spettatore cinefilo e citazionista lo sa bene… no se escherza con Jesus!
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