L’onorata carriera del compianto Andrzej Wajda, colonna del cinema polacco e mondiale, si chiude con Il ritratto negato, che a tre anni dalla sua realizzazione sarà finalmente distribuito anche in Italia. Il film narra la vera storia di Władysław Strzemiński (interpretato da Bogusław Linda), pittore d’avanguardia e insegnante d’arte che nella Polonia socialista fu osteggiato dalle autorità poiché la sua idea di arte non si conciliava con quella imposta dal regime.
Il titolo originale, Powidoki, si traduce letteralmente con “immagine residua”. Il suo significato è spiegato fin dall’inizio, quando Strzemiński parla ai suoi studenti dell’immagine residua che, per un istante, resta negli occhi di chi guarda un oggetto dopo aver distolto lo sguardo. L’idea che Strzemiński esprime con questo concetto è che l’essere umano vede solo ciò di cui è realmente consapevole. Le autorità filosovietiche polacche, incaricate di imporre il modello artistico del realismo socialista in tutte le nazioni del Patto di Varsavia, estremizzano questo concetto rendendo legge un elemento libero come l’arte. Un compito svolto in nome di un’ideologia che, se applicata ad un regime autoritario, annienta tutto ciò che le è estraneo, tutto ciò “di cui non è consapevole”: tutto ciò che non vuole capire.
Powidoki, come da prassi per la filmografia di Wajda, ha una messa in scena curatissima, che in questo caso riesce a rendere in pieno la deprimente parabola discendente di uno Strzemiński sempre più disperato. Bogusław Linda, attore di punta del cinema polacco e collaboratore di lunga data di Wajda, porta sullo schermo il suo personaggio con tutta la freddezza e la rassegnazione che caratterizzano un uomo messo con le spalle al muro.
Se nel narrare le sue vicende è quasi impeccabile, Powidoki risulta invece più approssimativo nel trattare avvenimenti più marginali. Quasi tutti i personaggi secondari sono lasciati troppo in disparte per l’importanza dei loro ruoli; in particolare il percorso della studentessa Hania (Zofia Wichłacz), che nelle battute finali rivelerà il suo amore per Strzemiński, appare eccessivamente improvvisato e quasi fuori posto nella trama generale. Inoltre, l’uso di una messa in scena così elegante e classica in qualche modo sembra stonare con il racconto della vita di un pittore avanguardista. Tali difetti tuttavia non minano la forza del film di Wajda, il cui obiettivo di trasmettere il proprio messaggio è eseguito con tutti i mezzi necessari.
C’è uno scambio di battute che mette perfettamente in chiaro lo spirito del film: ad un certo punto Strzemiński viene richiamato nell’ufficio dell’agente governativo che già all’inizio lo aveva avvertito di rivedere le proprie idee sull’arte. L’uomo lo accoglie con uno stereotipatissimo “Ci incontriamo di nuovo”, al quale l’artista risponde con “È lei che mi ha convocato”. Strzemiński smonta in pochissime parole uno schema di dialogo codificato, così come nei decenni passati con le sue opere aveva ribaltato i codici pittorici del periodo. È proprio questa sua avversione ai modelli imposti dall’alto a condurlo verso il triste finale, nel quale ha il mancamento che lo condurrà alla morte nel mezzo della vetrina di un negozio, circondato da manichini. È l’allegorica caduta di un autore sovversivo che si ritrova sommerso dalla standardizzazione, vuota e decisa da vertici del tutto esterni all’arte.
Powidoki quindi, pur non essendo un’opera imprescindibile, è la chiusura perfetta per la carriera di Wajda. La storia del suo paese, l’oppressione di stampo sovietico, la lotta per la libertà, il simbolismo, l’amore per l’arte; tutta la personalità e l’estro del regista trasudano dal suo ultimo film, che diventa a tutti gli effetti il suo testamento autoriale. Anche se in misura molto minore rispetto al pittore suo connazionale, anche Wajda è stato osteggiato dalle autorità comuniste; la persona (e il regista) ideale per raccontare una vita come quella di Strzemiński.
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