Ancor prima dell’ordine del Padre-Zeus c’erano Aletto, Tisifone e Megera. La mitologia greca identificava in queste tre divinità demoniache le Erinni, dee dall’aspetto orripilante e terrificante. Mentre Gea (la Terra) si univa ad Urano (il Cielo), uno dei loro figli-titani, Crono (il Tempo), uccise ed evirò con una falce il padre che rifiutava i figli a causa della loro mostruosità. Nate dal sangue di questo violento atto patricida, le Erinni diventarono non solo le dee della Vendetta, ma anche coloro che incarnavano il senso più puro e primordiale di Giustizia. Amore, morte, rivalsa e prevaricazione sono i cardini che regolano anche le dinamiche de La favorita, nelle sale italiane dal 24 gennaio.

Durante un breve periodo del XVIII secolo tre donne hanno manovrato lo scenario storico e politico europeo. La regina Anna Stuart (Olivia Colman), stanca e malata di gotta, è confusa sulle sorti della sua Inghilterra in lotta contro la Francia: continuare o no a combattere una guerra estenuante? Incapace di reale potere decisivo, la sovrana si barcamena tra i consigli dei Tories e degli Whigs, ma, soprattutto, si mostra carne debole alle lusinghe delle due favorite a corte: l’amante storica Lady Sarah Churchill (Rachel Weisz), donna di azione, e la nuova domestica Abigail Masham (Emma Stone), nobile caduta in disgrazia e pronta a tutto pur di avere la sua rivincita. In una tela intricata di potere e seduzione, dove la politica diventa principale riflesso delle dinamiche erotiche, le due giovani pretendenti inizieranno un gioco letale per accaparrarsi le grazie della Regina e, inevitabilmente, l’influenza a corte.

Ed è a questa fugace e intensa parentesi, forse considerata futile dalla “Storia dominante” – quella maschile –, che Yorgos Lanthimos vuole conferire importanza e sfaccettatura narrativa. Giunto al suo sesto lungometraggio, grazie al quale ha vinto il Gran premio della giuria al Festival di Venezia 2018, il regista greco mette in scena quella parte di “Storia sotterranea”, popolata da regine, dame e domestiche, che ribalta e offusca la narrazione storica principale, quella con cui siamo cresciuti, che abbiamo studiato sui libri di scuola e che ha sempre preteso di parlare a nome di tutti, di tutte. La storia occidentale è stata scritta dagli uomini. E se a parlare fosse l’Altro, le Altre?

Tre figure femminili curate nella caratterizzazione nei minimi dettagli, tra tutte la regina “di cuori” Anna (valsa a Olivia Colman il Golden Globe come migliore attrice), donna estremamente fragile, nevrotica, capricciosa e sofferente; vive schiacciata tra il fardello di una malattia che la porta a un lento deterioramento fisico e il peso di un potere assoluto che la affatica. Unica cura e sollievo dei suoi turbamenti fisici e psichici sono le due dame satelliti, la duchessa Sarah e sua cugina Abigail, tanto cruda e ambiziosa la prima quanto adulatrice e arrivista la seconda. Le due ragazze, affascinanti e seducenti, non fanno che sfruttare machiavellicamente il punto debole della regina, la sua bulimia d’affetto (e di dolci), per raggiungere i propri scopi personali, che siano la realizzazione politica – quella un tempo riservata agli uomini – o il miglioramento del proprio status sociale. In questa dinamica della guerra di tutte contro tutte, tutte e tre sono allo stesso tempo vittime e carnefici, pedine di una scacchiera triangolare da loro stessa mossa e spinta dal naturale istinto di soddisfacimento dei propri egoistici desideri di affetto, affermazione, affrancamento. I personaggi maschili, tra tutti Robert Harley (Nicholas Hoult), esponente dell’ala Tory, vengono dipinti come parodie prive di spessore. Resi ancora più ridicoli dai chili di trucco e parrucco in voga all’epoca e relegati a ruoli marginali, sono incapaci di essere soggetti attivi e reali motore d’azione.

Il radicale pessimismo cinico, quindi, continua a dominare le tematiche care al cinema di Lanthimos, tra tutte la sopraffazione reciproca, la concezione dell’uomo come animale il cui istinto è sopravvivere e l’idea dell’affetto meccanico controllato dal potere/autorità. Ma la grande novità, dovuta probabilmente al fatto che quella de La favorita è la prima sceneggiatura non firmata da Lanthimos (Deborah Davis, Tony McNamara), è l’avvicinamento all’essere umano dei suoi personaggi. Quegli automi che forzatamente inscenavano un affetto chirurgicamente asettico si riappropriano qui di un senso umano pieno di sfumature psicologiche e caratteriali. L’amore rappresentato è sì artefatto (e in parte, forse, provato) ma non meccanicamente imitato. Le tre donne infatti compiono azioni dettate da forti sentimenti, per quanto meschini e spregiudicati: la regina Anna, in tutte le sue folli ossessioni, è probabilmente il personaggio più umanamente fragile apparso in tutta la cinematografia del regista greco. Ogni aspetto del film viene sottoposto al processo di cui Lanthimos è maestro: la distorsione. Il continuo uso della prospettiva grandangolare a “fish-eye”, le inquadrature sbilenche dal basso, le panoramiche a schiaffo, non sono che la messa in forma materiale di un’esasperazione narrativa propria del film. La lente del grottesco e dell’esagerato, che produce per contrasto stridenti elementi comici e ironici, riesce, come sempre, a strappare quell’amara riflessione rispetto ai personaggi e ai fatti rappresentati, insita nel suo cinema d’autore. Ci si aspetterebbe assoluta raffinatezza dagli aristocratici, ma ciò che puntualmente ci viene da loro restituito è un’eccentrica bassezza morale in tutto e per tutto.

Lontana dall’ambiente greco, la cinematografia del regista, decisamente incrementata di budget, ha deciso di intraprendere una nuova strada in ascesa dagli “inferi” e più prossima all’Olimpo di Hollywood. Basti pensare al cast stellare presente sia in The Killing of a Sacred Deer (Colin Farrel, Nicole Kidman), sia ne La favorita. Il percorso extra-greco a partire dall’uscita di The Lobster (2015), suo primo film in lingua inglese, ci ha gradualmente abituato a una pillola più indorata. Ciò ha permesso al suo cinema di prendere una boccata d’aria dall’arido terreno dell’industria greca, facendosi però più digeribile e mansueto, dagli angoli smussati. Sebbene i ruoli siano sempre ben cuciti sugli attori, la controindicazione è proprio la creazione di quell’atmosfera familiare che mette a proprio agio sia vedendo volti noti sia ascoltando la dolce sonorità della lingua inglese, entrambi fattori che non riescono a sprigionare la stesso effetto straniante dei precedenti film di produzione greca. La narrazione e la messa in scena de La favorita sono impeccabili e curatissime ma, in sostanza, tradizionali e meno dirompenti della crudezza a tratti assurda e nichilista a cui il regista ci aveva abituato con pellicole quali Kinetta, Kynodontas e Alps.

Nonostante ciò, e come il loro creatore, le Erinni di Lanthimos sono inevitabilmente destinate a risalire l’Ade da cui provengono per occupare prepotentemente e meritatamente l’Olimpo. Non a caso La favorita ha ricevuto ben 10 nomination agli Oscar. Le tre dee-lady demoniache agiscono per vendetta ma, allo stesso tempo, hanno il merito di riappropriarsi per giustizia di un momento storico-politico-sessuale – cinematografico – che gli appartiene. Col tempo le Erinni vennero venerate e identificate come Eumenidi (“le benevole”), confondendo ancor di più i confini tra una vendetta giusta e una giustizia sbagliata. Se l’uomo è lupo con l’uomo, la femmina è ancor più lupo con la femmina, diceva Gramsci.

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