Questa nuova stagione segna un cambiamento nella mitologia di Doctor Who. Per la prima volta, il Signore del Tempo ha subito un cambiamento di genere ed è diventata una donna. Una scelta radicale e coraggiosa, in linea con i tempi. Si sa, la fortuna aiuta gli audaci e l’undicesima stagione, nonostante i numerosi cambiamenti (showrunner, sigla, protagonisti, etc), si conferma ottima. Essendo un nuovo corso ci sono delle alchimie da perfezionare e da oliare ma, complessivamente, lo show non risente del cambio di sesso del protagonista, anzi, ne subisce una nuova linfa vitale dovuta al cambio di prospettiva.
Chris Chibnall subentra a Steven Moffat nel ruolo di showrunner e rinnova completamente lo show facendolo suo totalmente, tarandolo in una via di mezzo tra la spettacolarità di Moffat e il ritmo lento e d’introspezione delle prime stagioni guidate da Russel T. Davies (Seppur con molto meno elemento fantascientifico). Chibnall resetta tutto e si mantiene perlopiù sul classico e sul valore dell’avventura. Meno trama orizzontale e senza puntate multiple rispetto a Moffat. In questa undicesima stagione si punta più viaggi nel passato con storie che terminano con morali educative. Un’impronta minimalista con episodi totalmente autoconclusivi (tranne l’ultimo episodio). Un ritmo compassato e volutamente lento per dare ampio spazio alle dinamiche dei quattro protagonisti. I compagni del dottore sono dei veri co-protagonisti e hanno ampio spazio durante gli episodi. Hanno dei loro momenti di gloria e sono costruiti molto bene dal profilo psico-fisico. Una sorta di famiglia allargata e che porta ad un nuovo livello il classico rapporto dottore-compagni all’interno della mitologia di Doctor Who. Tutto ciò va a discapito dell’azione che ne risente e, a volte, gli episodi sono lenti e macchinosi. Moffat ci aveva abituati a delle puntate con dei finali spettacolari con dei punti di svolta geniali e dal grande ritmo narrativo. Una velocizzazione con delle trovate risolutive all’insegna dell’epicità.
Nonostante il ritmo compassato, lo show funziona grazie all’alchimia tra i suoi protagonisti, un corpo unico che aiuta il prossimo e sé stesso (ci sono episodi che si concentrano sui personaggi principali). Un gruppo unito che vive all’insegna dell’avventura e dell’educazione. Chibnall riesce a creare un nucleo solido e ben strutturato, accorpando personaggi di etnie diverse che funzionano in un’ottica di dare spazio alle minoranze etniche. Inoltre, la scelta di allargare il gruppo etnico è in linea con il cambiamento di genere del Dottore. I personaggi sono caratterizzati fornendo un background con solide basi psicologhe. Questa è una scelta vincente e che rende questa nuova stagione, diversa.
Jodie Whittaker si muove bene nei panni del Dottore e non subisce molto la timidezza del pesante ruolo. Chibnall struttura il nuovo protagonista attraverso l’autoironia e la stravaganza. La “dottoressa” scherza molto sulla sua “condizione” di donna e si prende in giro da sola. Una vena comica, nel tipico spirito del british humor, che soddisfa e che rende il cambiamento più “dolce e docile”.
Complessivamente, l’undicesima stagione di Doctor Who è molto buona. Altalenante ma soddisfacente. L’unico grosso neo è che neanche uno dei nuovi “mostri” si è rivelato memorabile e nessuno di loro ha le potenzialità per entrare a far parte della mitologia di Doctor Who. Poco carisma e poca presenza scenica per poter entrare nell’olimpo dell’iconica serie. Inoltre, l’ultimo episodio è stato un po’ troppo soft rispetto ai classici “finali” delle precedenti stagioni. Poco spettacolare e senza un reale momento epico. Tra qualche giorno, a Capodanno, arriverà un episodio speciale che chiuderà definitivamente questo nuovo primo arco e quindi ci si aspetta un season finale col botto. In base a come verrà chiuso questo primo ciclo sarà possibile tirar e le somme. Per il momento, il bilancio è positivo.
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