Baby è un vero prodotto fatto da giovani, diciamolo subito, ed è una buona notizia. Se Suburra – La serie era girata da un settantaduenne come Michele Placido, la nuova serie originale Netflix è stata prodotta da due under-40, i fratelli De Angelis, scritta dal giovanissimo collettivo Grams, supervisionato dagli headwriters Isabella Aguilar e Giacomo Durzi, quarantenni, diretta, insieme ad Anna Negri, da Andrea De Sica, 36 anni. Ovviamente gli attori protagonisti sono tutti dei ventenni, vista la vicenda. Dunque, le carte sembrano esserci tutte, ma andiamo con ordine.

La vicenda è ispirata al caso che ha agitato l’opinione pubblica qualche anno fa delle baby squillo del quartiere Parioli. La storia, secondo le parole di Andrea De Sica, prende solo spunto dal fatto di cronaca per costruire una vicenda del tutto originale, come è in fondo giusto che sia. I primi due episodi fanno intuire la direzione che la serie prenderà, costruendola con calma. La sceneggiatura promette una buona solidità nell’intreccio: a fianco alla storia di Chiara, la giovane protagonista, studente del liceo pariolino Collodi, se ne affiancano altre due principali, quella di Ludovica, outsider della scuola, e quella di Damiano, nuovo arrivato.  Il cast funziona benissimo. Benedetta Porcaroli è perfetta nel riportare quella fragilità che dovrebbe riempire il suo personaggio, così come Alice Pagani mostra di essere a suo agio nei ruoli che richiedono consapevolezza del proprio corpo. Anche la componente maschile è ottima: Brando Pacitto mostra di sapersi prestare a ruoli diversi da quelli già provati, mentre Riccardo Mandolini, alla prima esperienza attoriale, si rivela un ottimo boro, nonostante nella realtà non lo sembri per niente.

L’unico calo della recitazione riguarda tutto il cast ed è dovuto alla sceneggiatura, che nei dialoghi spesso arriva ad essere un po’ pacchiana, cercando di calcare le frasi ad effetto piene di ormone delle produzioni italiane moderne (i vari “Lo sai cosa mi fa paura?” o “I soldi rendono tutto più chiaro, sai”). Se frasi del genere funzionano molto bene in serie come La Casa de Papel, qui stonano per l’impianto realistico della serie, vincolante, visto il dato di cronaca dalla quale la serie ha tratto ispirazione. In generale, Baby sembra suggerire che la novità, in Italia, sia raggiungibile solo attraverso questo nuovo stile dark alla Stefano Sollima: violenza verbale e visiva, montaggio veloce, musica elettronica a palla, recitazione un po’ imbruttita. Ma da Romanzo criminale sono passati dieci anni e adesso tutto questo funziona meno di come funzionava in passato. Nel frattempo, nei famosi 190 paesi coperti da Netflix, oltre a Gomorra – La serie, opere ad impianto più tradizionale come L’amica geniale o il sempreverde Commissario Montalbano ottengono grande successo di critica. Come in tutte le recenti produzioni alla Sollima, il referente reale obbliga la messa in scena a uno stile grave, posato, su cui parte dei dialoghi sembra ogni tanto fuori luogo tra un “porcoddue” e l’altro.

Generalizzando, il problema, se così lo vogliamo chiamare, è che il dato di cronaca è una costante del cinema e della televisione italiana della quale sembriamo non riuscirci a liberare, nemmeno quando dobbiamo esportare in 190 paesi. Difficile credere davvero che il dissidio boro/pariolo, tanto presente ai ragazzi romani, dovrebbe dire qualcosa a un utente di Netflix tedesco. Se in Germania si riescono a fare serie mistery come Dark, o in Spagna un heist come La casa de papel, per noi il peso di Zavattini, a distanza di ottant’anni, si fa ancora sentire e non è più una questione di lavarci i panni sporchi in famiglia, come disse Andreotti parlando del Neorealismo, ma proprio di rifarci l’armadio. Ironico poi che alla regia della serie ci sia un De Sica, ma qua con i collegamenti si fanno voli esagerati. I due registi sono bravi a trasporre uno stile pesante su una storia del tutto femminile, ma ogni tanto peccano di alcune esagerazioni: di quaranta minuti di episodio, cinque di questi sono dedicati a panoramiche delle strade romane, per altro non i fori, che almeno fanno l’effetto cartolina che apparentemente dovrebbe funzionare all’estero, ma strade dei Parioli che dicono poco sulla ricchezza del quartiere, se non a chi abita a Roma, che però già la conosce e quindi non ha bisogno di queste lunghe sequenze.

Mentre Sky continua la sua strada con successo verso la rappresentazione dell’Italia violenta, HBO, pur non avendo un esercizio in Italia, sembra aver capito la via vincente di audience (quasi il 30% di share per i primi due episodi de L’amica geniale) e di critica (prendendo Paolo Sorrentino e The Young Pope). Nel frattempo, Netflix, il cui motto è “See what’s next”, annuncia nuovi cine-panettoni.

Pur non avendo la portata di novità che da una serie Netflix ci si aspetterebbe, visti i risultati delle serie anche europee all’estero, Baby rimane una serie da seguire, sperando possa stupirci nelle sue storie ancora da scoprire.

 

Articolo di Federico Cadalanu

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