Torna l’avvincente serie tv tratta dai fumetti di Garth Ennis, un concentrato di umorismo nero e satira sociale sul mondo supereroistico come mai si era visto prima.
[attenzione il seguente articolo contiene spoiler di tutta la terza stagione di The Boys, ndA]
Non è decisamente uno show per tutti The Boys, adattamento seriale del celebre fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson.
Non lo è in quanto prende tutti i cliché di una qualsiasi serie a fumetti “X” sui supereroi e li destruttura facendone risaltare i tratti più ambigui e contradditori. E fa tutto questo con uno stile che è volutamente sovversivo e che sembra fare di tutto per NON farsi piacere dal suo stesso pubblico.
Dopo il successo delle prime due stagioni, infatti, pareva abbastanza scontato che la storyline principale andasse verso una determinata direzione, con la Vought American finalmente gestita in maniera “trasparente” dall’associazione guidata dalla deputata Victoria Neuman (Claudia Doumit) e il ridimensionamento di Patriota (Antony Starr) a co-capitano del Team insieme a Starlight (Erin Moriarty), il cui compito diventa (nei fatti) quello di “cane da guardia” per quest’ultimo.
E, allo stesso tempo, un vero e proprio “rientro nella legalità” per i The Boys, diventati una sorta di “braccio armato” della Neuman stessa.
Tutto bello e perfetto, quasi un lieto fine pre-annunciato, se non fosse che questa condizione di serenità viene ben presto meno sconvolgendo, ancora una volta, le vite dei co-protagonisti della vicenda.
La new entry Soldier Boy e la degenerazione di Patriota
La “pace” all’interno del Team di supereroi finisce ben presto con la psiche di Patriota che, completamente subissato da tutte le parti per la sua precedente relazione con Stormfront (Aya Cash), dice la sua durante una diretta televisiva, rivelando tutta la sua instabilità psichica.
Il che, paradossalmente, non ha l’effetto di allontanarlo ulteriormente dalla Vought ma ne accresce la popolarità fra il pubblico social, riportandolo di fatto in auge. Una bella critica ad un certo populismo di stampo trumpiano (con annessa riflessione sull’uso dei social e sull’analfabetismo funzionale) come solo la serie di Erik Cripke riesce a fare.
Seppur in maniera un po’ forzata, il ritorno in auge di Patriota riporta dunque tutta la narrazione sui binari soliti dello show, con i vari co-protagonisti che sono costretti a schierarsi dall’una o dall’altra parte per poter combattere il potente supereroe.
Da questo punto di vista, anche la terza stagione di The Boys si conferma come uno show assolutamente non-consolatorio, che cozza enormemente con la morale “positivista” degli altri cine-comics. Anzi, vengono messe in evidenza proprio la doppia morale che s’insinua nel concetto stesso di “super-eroe”, come mai era stato fatto prima.
In questo scenario s’inseriscono ovviamente le new entry stagionali che rappresentano la “parodia” non ufficiale dei vari super-eroi Marvel. Fra questi il gruppo di super-eroi denominato Payback (Rappresaglia, in italiano) i primi super-soldati nati durante il conflitto in Nicaragua negli anni 80.
Appare evidente come tutta questa storyline riprenda quella di Captain America, ovviamente riveduta in chiave politicamente scorretta, splatter e gore. in particolare appare interessante il personaggio di Soldier Boy (Soldatino, nella versione italiana), interpretato da Jensen Ackles, vera rivelazione di questa stagione.
È a questo personaggio che i The Boys faranno riferimento per la lotta contro Patriota, cosa che porterà non pochi conflitti all’interno del gruppo.
The Boys: buoni o cattivi?
Il bello di questo show, infatti, è quello di non delineare confini morali netti fra i propri personaggi. Gli stessi The Boys qui oltrepassano più volte limite in questa stagione. Si può dire che se la seconda parte rappresentava il “successo” del gruppo e la solidificazione dei rapporti interni fra i vari membri, questa terza parte al contrari one rappresenta la divisione interna.
Per arrivare a questo punto gli sceneggiatori mettono fin da subito un elemento di disturbo particolare: il famoso composto V!
Attraverso questa sostanza Butcher (Karl Urban) e Hughie (Jack Quaid) acquisiscono, seppur temporaneamente, dei super-poteri. E per i fan di the Boys sarà estremamente interessante vedere come questo fatto farà evolvere i rapporti all’interno del gruppo, e quali saranno le conseguenze morali per gente che ha fatto della lotta contro i “super-poteri” la propria missione di vita.
Da segnalare, anche se per i fan storici non è un mistero, le interpretazioni di Karl Urban (da Emmy la scena di dialogo con Antony Starr) e Jack Quaid in questa fase dei rispettivi character. In particolare il personaggio di Hughie avrà un evoluzione davvero notevole, rispetto alle precedenti stagioni, tramite il rapporto che si verrà a creare con la deputata Neuman e le tensioni emotive con la fidanzata Starlight. Queste rappresentano, come da consueto, il lato forse più dramedy delle vicende ma, allo stesso tempo, anche il più espressamente soapish.
Canzoni e super-poteri
Ce n’è dunque di materiale in questi 8 episodi che promettono scene sanguinose e dark humour in ogni singola sequenza. Il tutto senza censura alcuna o timore di risultare tropo spinti.
The Boys si conferma una serie necessaria, sia per il suo carattere satirico (con cui affronta anche temi quali il razzismo delle istituzioni, le tematiche femministe e il controllo dei media) sia per tutto quanto riguarda il discorso meta-letterario dell’influenza dei cinecomics (e del mito super-eroistico) sulla popolazione.
Il tutto però senza tralasciare l’effetto wow dato dalle sequenze action e comedy mirabilmente inserite all’interno della narrazione, per cui la serie funge da ottimo show pop. Non mancano anche i momenti di leggerezza (un’intera scena musical da parte di Kimiko ad esempio), che servono soprattutto ad alleggerire la gravità di quanto mostrato.
Anche l’uso di canzoni fa parte, d’altronde, di quello “scimmiottare” i cliché dei classici Disney, che ultimamente imperversano anche sui cinecomics più mainstream (non a caso facenti capo agli stessi produttori). Così come i riferimenti costanti al mondo dei talk televisivi, delle pubblicità e dei luna park tematici.
Tutto ciò che concerne l’aspetto “social” del mondo dei supereroi viene messo alla berlina in maniera esagerata e iperbolica, o semplicemente usato come espediente per i plot twist più importanti, ma sempre in una veste negativa.
The Boys si conferma dunque uno degli show più innovativi e assolutamente anti-retorici del momento. Una serie da guardare e gustarsi lentamente (e in questo, la scelta di episodi a cadenza settimanale è ottima) per assaporarne ogni singolo aspetto proposto. Sperando che, nel contorno, non siano previsti piatti di pesce o polipi vivi (Abisso docet)!
Scrivi