Woody Allen è instancabile! In questa sua ultima fase della sua incredibile carriera riesce a realizzare prodotti più che buoni con una costanza invidiabile a qualsiasi cineasta. Dopo il buon Un giorno di pioggia a New York, Allen, viste le incessanti polemiche in patria sui presunti abusi sessuali a Dylan Farrow, è costretto a tornare in Europa, in Spagna, per raccontare una storia che si svolge durante il San Sebastian Film Festival con Rifkin’s Festival. Un film omaggio del cineasta statunitense al mondo del cinema con tantissime citazioni e riferimenti a capolavori della Storia del Cinema.

Mort Rifkin è un ex professore di cinema che ha abbandonato la professione per dedicarsi alla scrittura del suo primo romanzo. Sua moglie, Sue, una promoter stampa, lo convince ad andare con lei al Festival di San Sebastian dove sta promuovendo il giovane e promettente talento cinematografico, Philippe. Mort ipotizza che tra sua moglie e la promessa del cinema ci sia una relazione e perciò impotente, riflette sulla sua vita e, nei suoi sogni, rivive scene cult di film della Storia del Cinema, i film della sua vita. All’improvviso, non si sente bene e si fa visitare da una giovane dottoressa che ha una relazione coniugale tumultuosa. I due diventano amici e si sostengono a vicenda.

Per appassionati di cinema, Allen che racconta il mondo del cinema, quello vero, quello rivoluzionario, quello che ha segnato la storia, in un progetto filmico ambientato in un festival cinematografico è qualcosa di incredibile che genera aspettativa e interesse. Seppur non sia uno dei migliori film di questa ultima fase del regista, Rifkin’s Festival presenta dei guizzi interessanti, graffianti e satirici come ai vecchi tempi in cui Allen mette alla berlina il mondo critico cinematografico Allen infarcisce il film di critiche alla cinematografia contemporanea e si rifà ai suoi film del cuore per una pellicola che amalgama bene dramma interiore, personale con una sorta di metà cinema, di autoreferenzialità. Ci sono un sacco di frecciatine all’industria cinematografica, ma non solo! Ci sono tante tematiche care al regista newyorkese come le riflessioni sulla vita, sul matrimonio, sulla morte e sulle inadeguatezze. Il festival è infatti solo una cornice per veicolare tutti questi aspetti della sua poetica e per raccontare il vero Cinema, quello che era in grado di evocare sogni e suggestioni; emozionare ed incantare. Il puro potere del cinema di una volta, dei capolavori, i classici dei Maestri. Non quello dei critici odierni che osannano autori appena sboccati che hanno realizzato un buon film e vengono già etichettati come nuovi pilastri della settima arte e paragonati a Maestri come Bergman, Fellini, Godard. Per fare tutto ciò Allen si rifà alle dinamiche evocative dell’arte cinematografica, al sogno, per portare avanti la storia del protagonista in quanto è lo stratagemma perfetto per raccontare sia una storia personale, di un uomo di mezza età in conflitto con sé stesso e sia per rappresentare il suo cinema preferito, dei maestri europei, con tanto di citazioni dirette a film leggendari. Il film quindi è infarcito di sogni cinefili che condiscono la vita piatta di una persona allo sbaraglio che arrivato nell’ultima fase della sua vita non sa più cosa fare e ha bisogno di appoggiarsi a qualcuno o a qualcosa che conosce bene per rimettersi in sesto.  Quindi più che spiegare le dinamiche del festival e raccontare la bellezza di un evento mondano, cinefilo, la pellicola mostra le varie fasi del festival della vita di una persona dove i flashback filmici in realtà sono i sogni del protagonista che si manifestano con un flusso di coscienza interiore conflittuale. Sono intermezzi che portano avanti la narrazione e mostrano il background, i sentimenti di Mort. La sua psiche e i suoi ricordi reconditi che si riconducono al suo vero grande amore della vita, il cinema.

Sotto certi aspetti, Rifkin’s festival richiama molto l’altra opera di Allen, Midnight in Paris con la differenza che quella pellicola sì orientava prevalentemente su un uomo che si sentiva fuori dal tempo e che preferiva vivere nel passato piuttosto che nel presente. Inoltre, il film parigino riusciva ad immortalare una cornice sognate e rendere omaggio ad uno dei periodi storici più belli della storia di Parigi. Li veniva utilizzato l’espediente del “viaggio” in stile Cenerentola mentre in Rifkin’s festival si è optato per una via più semplice e innocua. Tuttavia, la differenza più grossa è che Midnight in Paris aveva un ritmo dinamico, pieno di battute di un Allen in forma, ispirato, con un’atmosfera retrò azzeccata e attori in stato di grazia. Tutto ciò manca a Rifkin’s Festival che si rivela senza mordente e privo di dinamicità. Sembra una commediola senza pretese fatta perché il regista non sa cosa fare nella sua vita oltre fare film. Non è da buttare, anzi, nel suo complesso è buono, si guarda volentieri proprio grazie alla sua leggerezza, ma bisogna abituarsi al fatto che ormai Allen è un autore alla frutta.

Rifkin’s festival è un atto d’amore di Allen verso il cinema classico, quello che ora sembra quasi un eco di un tempo lontano, ma che rimane immortale nella mente di coloro che amano la settima arte in quanto il cinema è indelebile e vive al di là della pura esperienza della visione in sala. Condiziona la vita, la migliora, la colora in positivo e può essere il giusto appiglio per identificare la vita di una persona. Perciò il film potrà anche presentare i classici cliché e il solito protagonista alter ego dello stesso Allen, ciononostante si rivela una buona commedia leggera che sprizza amore in ogni frame. Lento, pacato, semplice adatto per puri cinefili e amanti del grande regista che forse, è alle prese con la sua ultima opera e che, giustamente, omaggia capolavori di quell’arte che ha contribuito ad alimentare e che gli ha dato tanto nel corso della sua vita.

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