The Stand è una miniserie di Starz basata sul romanzo L’ombra dello scorpione di Stephen King pubblicato nel 1978. L’opera mischia elementi biblici con il thriller, l’horror e il mistery per dare vita ad una storia apocalittica, focalizzata su una pandemia, che affronta tematiche importanti sulla religione, l’esistenza umana, mettendo in mostra forti valori etici e morali. Si prefigge di raccontare una storia post-apocalittica proponendo tematiche legate alla spiritualità e di mettere in scena una prospettiva differente dell’eterno scontro tra bene e male. Una sorta di fantasy religioso, ricco di prospettive, di introspezione, che serve a portare a compimento una parabola di rinascita e ricostruzione dell’umanità. Di lotta, di resistenza con l’intenzione di aggrapparsi a valori forti per poter superare il momento apocalittico. The Stand ibrida tantissimi generi ed è una storia corposa, piena di stottotrame e di spunti riflessivi. La serie, composta da soli nove episodi dalla durata di 50-55 minuti ciascuna, ed è sviluppata Josh Boone con un cast di alto livello composto da Alexander Skarsgard, Amber Heard e James Marsden (solo per citarne alcuni). Nonostante ci sia come fulcro, come incipit per smuovere la storia una pandemia globale di tipo influenzale, la serie non ha alcun legame con l’attualità e non ci sono spunti profetici con il romanzo di partenza.
Una misteriosa influenza stermina il 99,4% della popolazione mondiale. Gran parte dei sopravvissuti arrivano a Boulder in Colorando dal richiamo di una misteriosa donna anziana che si fa chiamare Madre Abigail. La donna compare in sogno ai sopravvissuti per guidarli verso la salvezza. La serie segue i 5 “prescelti”, coloro che sono chiamati a guidare e costituire l’ultima società rimasta della razza umana. Oltre alla misteriosa anziana, i sopravvissuti vengono tentati anche da un’altra entità, il misterioso Flagg, una figura oscura, l’uomo nero, che manipola e corrompe le persone per creare una società peccaminosa, votata al sesso e alla violenza, alla perdizione, A New Vegas.
Le prime puntate, oltre a raccontare l’apocalisse, lo sfacelo della società umana a causa del virus influenzale, si focalizzando su vari sopravvissuti e sul loro ruolo futuro. Sulle loro scelte che finiscono per influenzare il futuro dell’umanità. Seguiamo cinque persone, alle quali la prima parte della miniserie dedica quasi un episodio a ciascuno di essi, attraverso una narrazione che si muove tra passato e presente, per mostrarci la loro vita attuale (votata alla sopravvivenza) e la loro storia pre pandemia. Seguiamo la loro evoluzione, il loro percorso finché non li ritroviamo tutti insieme a Boulder per guidare la comunità di sopravvissuti.
Nel loro cammino incontrano persone ambigue che devono compiere le loro scelte, seguire Madre Abigail o farsi tentare dal lato seducente dell’Uomo Nero. Quindi, a livello di costruzione narrativa, la serie si divide a metà tra una costruzione non lineare (nella prima parte) e una lineare (nella fase finale). Non c’è omogeneità nella scansione del tempo diegetico della storia e a volte, tale scelta non permette di comprendere appieno le varie dinamiche in quanto confonde e non accresce empatia per i personaggi principali. Sicuramente l’intenzione era quella di fornire alla serie un ritmo incalzante, di sorprendere facendo perdere allo spettatore le coordinate spazio temporali dei protagonisti. Tuttavia, questa soluzione non trova continuità di intenti e porta lo spettatore a seguire una storia che si rivela fredda, con poca passione e senza mai raggiungere un climax epico che avrebbe giovato tanto nel finale. I personaggi vengono caratterizzati in modo grossolano e non si è mai veramente in ansia per loro. Sono tanti e poco incisivi nonostante abbiano diverso tempo per essere sviluppati e per dar vita a scene memorabili. Ci sono tanti generi ibridati, ma sembra che la serie non sappia bene come muoversi e su quale versante orientarsi con maggior incisività. Il potenziale c’è, ma il tutto viene ricondotto solo alla mera spiritualità, come se fosse una sorta di fantasy biblico.
Complessivamente, The Stand rappresenta un’occasione mancata per adattare in modo efficace e convincente un libro cult di King. La storia ha enormi potenzialità, ma si perde in uno sviluppo non convincente che destabilizza l’intera trasposizione seriale. Gli stessi iconici personaggi vengono sviluppati in una maniera grossolana e poco incline a creare legami emotivi cono gli spettatori. Non si è mai in ansia per la vita dei protagonisti e lo stesso antagonista viene gestito senza uniformità. All’inizio sembra un essere potentissimo e poi si perde in segmenti romantici e di tentazione mal gestiti. Inoltre, il nono episodio, il finale che dovrebbe avere un climax appropriato, si rivela insulso, senza senso e votato solamente per dare un lieto fine soddisfacente, ottimista e speranzoso. Si emerge l’ampia portata della storia e le sue potenzialità, ma si denota anche una discontinuità narrativa che non giova a rendere la miniserie calorosa e memorabile. Si perde nel gorgo dei buoni prodotti dal punto di vista realizzativo, ma insipida sotto il profilo delle emozioni e della godibilità complessiva.
Scrivi