Quest’anno filmico è dominato da pellicole rivoluzionarie, basate su storie vere che hanno cambiato radicalmente la società americana. Atti contro-culturali che hanno smosso dalle fondamenta gli Stati Uniti negli Anni Sessanta e Settanta. Ci sono molti lungometraggi simili come Il processo ai Chicago 7, Quella notte a Miami… e Judas and the black Messiah. Tre pellicole che potrebbero far parte dello stesso universo filmico, quasi concatenate. Tutte e tre raccontano di una rivoluzione in modo completamente differente. Judas and the black messiah è quella meno corale, ma più viscerale, forte e cruda. Forse dei tre film è quella meno poetica, ma è figlia di un cinema che mira a mettere in mostra il carisma, la potenza delle parole per mettere in atto una rivoluzione dal basso, fatta di atti, di riflessioni ad alta voce, senza paura di venir meno ai propri impegni socio-politici. Dare tutto se stesso, anche la propria vita, alla causa.

Judas and the black Messiah si concentra sul leader delle Pantere Nere di Chicago, Fred Hampton, che dopo la morte di Martin Luther King e Malcom X si ritrova ad essere l’ultimo punto di riferimento per gli afroamericani. Socialista e sovversivo, mira a cambiare il paese dal basso, per formare i cittadini di domani. Oltre a fare proclami, Hampton agisce direttamente, si sporca le mani e mette in atto le sue “prediche”. Rimasto l’ultimo profeta rivoluzionario afroamericano, la sua presenza viene malvista dai Federali che vogliono metterlo a tacere. Perciò, un agente federale ricatta un ladro e lo fa infiltrare nel Black Panther Party.

Ogni cosa è politica. Parlando quasi di ogni cosa si arriva al succo che ogni decisione è dettata da scelte politiche. Forse, nell’era post-Trum c’era assoluto bisogno di ritornare a determinati valori, puri, radicali, che, nel bene o nel male, hanno cambiato gli USA. Un ritorno al passato per riproporre tematiche attuali, che possono essere in parallelo con le situazioni di oggi, per cambiare il sistema e ripristinare il giusto equilibrio. Judas and the black Messia mette in mostra il connubio lotta e sistema. L’azione politica di Hampton cerca di cambiare il sistema proponendo alle future generazioni ideologie socialiste, di comunità, di uguaglianza. Rivoluzione fatta dal popolo che ha il dovere di unirsi e abbattere il proprio organo politico se esso non soddisfa appieno il proprio pensiero. Mira a divulgare la concezione che il popolo smuove le masse se unito da un intento comune, perciò agisce direttamente sui giovani. Il potere è nel popolo, nei numeri.

La pellicola rappresenta con efficacia l’ideologia rivoluzionaria, contro culturale, di Hampton. Cruda, forte e diretta. Seppur sia narrata dal punto di vista di Bill O’Neal, il film si muove su due livelli per raccontare sia una storia vera, di denuncia contro il sistema, che l’essere umano Hampton che ha dato tanto alla causa afroamericana. Questi due aspetti vanno di pari passo e sono uno figlio dell’altro. Il primo aspetto, che alterna parti della storica vera intervista di Bill O’Neal del 1989, l’infiltrato che ha contribuito all’uccisione del leader della Pantere Nere, serve a delineare una storia thriller, ma allo stesso tempo funge da prospettiva neutra (come quello dello spettatore) per rappresentare in maniera diretta l’ideologia di Hampton. Sotto certi aspetti, a livello di storia, ricorda un po’ Blackkklansman di Spike Lee, solo che in questo caso, viene raccontato un omicidio efferato, un tradimento giudaico. Il titolo biblico rende molto bene il conflitto che emerge all’interno della pellicola in cui ci sono numerosi spunti di riflessione e di denuncia. Il film non è perfetto, emergono delle licenze poetiche e della retorica, ma ha il pregio di rendere in maniera onesta, vera e comprensibile, il periodo storico e le dinamiche all’interno del Black Panther Party. La politica di fondo di Hampton viene eviscerata e resa comprensibile ai più. Il suo lavoro rivoluzionario viene mostrato in tutto il suo potenziale proponendo una narrazione efficace che intrattiene ed educa.

Shaka King è abile nella regia e nel gestire tempi narrativi che mischiano ricostruzioni storiche con parti romanzate per mettere in scena una storia dolorosa, politica, d’impatto, scomoda. Un argomento complicato da rappresentare con efficacia se non attraverso un efficace accostamento biblico, che ai conti storici, rende molto bene le dinamiche che si creano tra il protagonista O’Neal e il leader della Pantere Nere. Daniel Kaluuya è perfetto nel rendere credibile e umana la scomoda figura del carismatico Hampton ucciso dalla polizia a soli 21 anni.

 Judas and the black Messiah è una pellicola molto ben fatta. Dall’ottimo ritmo narrativo è in grado di creare riflessioni sulla corrente rivoluzionari di Hampton, l’ultimo messia della comunità afroamericana che ha tentato si smuovere le masse proponendo una rivoluzione dal basso, dal popolo, in grado di sovvertire il marcio della politica. Forse il neo del film è quello di concentrarsi troppo sul suo “messiah” e di mischiare aspetti amorosi, di secondo piano, che non apportano nulla alla poetica di fondo, ma rimane un ottimo prodotto filmico. Narrativamente, forse, avrebbe giovato di un allargamento della situazione socio-politica per rappresentare con più efficacia la portata dell’ideologia di Hampton, mentre in realtà la pellicola preferisce virare sul sicuro proponendo una duplice prospettiva che mette in parallelo il messia con il suo giuda. Nonostante le sue imperfezioni, rimane il biopic più bello di questa stagione filmica.

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