Westworld è stata una serie incredibile, dalla storia, alla messa in scena, agli effetti speciali, agli intrecci di linee temporali sempre più intricate. Un qualcosa che mancava nel panorama televisivo contemporaneo, il tutto condito da un parterre di attori eccezionale, da Anthony Hopkins ad Ed Harris, per citarne due.
Arrivati a questo punto, cosa rappresenta la terza stagione? La morte di una serie, come detto in precedenza, iconica e imprevedibile? Sì e no.
Westworld 3 ha fatto tutto quello che non doveva fare, ha imboccato la strada di un generale appiattimento del comparto narrativo per dare spazio alla spettacolarità, agli scontri, ai combattimenti e gli inseguimenti in auto. Tutto d’un tratto gli androidi sono diventati delle super macchine capaci di tutto. Ma era questo Westworld? No, l’opera sceneggiata da Jonathan Nolan e Lisa Joy era filosofia, era una complessa riflessione sul post-umano e su tutto ciò che esso poteva implicare, era un viaggio, presentato in stile puzzle che lo spettatore doveva poi comporre. Con la terza stagione tutto questo è andato perso.
La trama, escluso qualche flashback, è lineare, quasi piatta. I personaggi introdotti non apportano nulla alla serie. Serac (Vincent Cassel) è semplicemente il “cattivo”, un antagonista con il solo ruolo di opporsi agli altri personaggi, il quale, giungendo verso la fine della stagione, perde sempre più spessore, dimostrandosi sempre più vuoto. Il ritorno di Maeve, riesumata da un finale della precedente stagione quasi perfetto per il personaggio, risulta quasi totalmente privo di senso, o, comunque, poteva essere sviluppato diversamente. Così facendo ci è rovinata la caratterizzazione fatta nelle precedenti due stagioni di uno dei personaggi fondamentali e più affascinanti della serie. A proposito del rovinare i personaggi veniamo ad uno dei tasti più dolenti: William (Ed Harris). Il suo ritorno in scena è stata una delle cose con meno senso dell’intera stagione. Ad esempio togliendo tutte le parti in cui compare non si andrebbe, probabilmente, ad intaccare nulla nella stagione, in quanto il suo apporto agli eventi è praticamente nullo. Lo si vede e basta, lui c’è, ha un dramma interiore poco chiarito e costruito in fretta e furia, ma niente di tutto ciò tocca l’arco narrativo principale e non risulta nemmeno così interessante da rappresentare una sotto trama secondaria degna di nota. Semplicemente ci viene mostrato.
La serie è passata dalla complessità di discorsi filosofici e sociologici a una serie di scontri che potrebbero ricordare Matrix e la fantascienza più di stampo action. Sia chiaro, il tutto è rappresentato estremamente bene a livello visivo e le sequenze d’azione sono ottime. Il problema è che Westworld era altro. Forse il problema di questa stagine è proprio il suo titolo e il suo voler fare parte di un qualcosa d’altro. Si fosse chiamata diversamente e fosse stata slegata dalle precedenti stagioni saremmo davanti a un prodotto godibile e divertente, poiché come prodotto fantascientifico virato all’action, questa stagione funziona eccome. Il problema è che non era quello che volevamo o che ci eravamo abituati a vedere nelle precedenti stagioni.
Allora, torniamo alla domanda iniziale: Cosa rappresenta questa terza stagione? Non proprio la morte della serie (la stagione 4 è già confermata), ma un ridimensionamento, un collocarsi in un altro ambito, cercando di avvicinarsi alla grande massa di pubblico, uscendo dalla complessità per essere fruibile da un pubblico più ampio. Il risultato è un’ottima serie fanta-action, ma che niente ha a che fare con Westworld, di cui porta, erroneamente, ancora il titolo. E’ stato un tradimento? Un “suicidio”? Probabilmente sì.
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