Sono innumerevoli i franchise hollywoodiani che vengono riesumati senza apparente motivo logico. In realtà sappiamo benissimo che il solo motivo è quello economico, ma spesso cerchiamo di non ricondurre tutto al “vile denaro”. In momenti del genere ci facciamo domande come: “Perché realizzare un nuovo capitolo di Bad Boys a 17 anni di distanza dal secondo, considerando anche il fatto che Will Smith e Martin Lawrence ormai abbiano rispettivamente 51 e 54 anni?”. Eppure è successo. Eccoci dunque di fronte a Bad Boys for Life, terzo episodio della serie action comedy storicamente associata a Michael Bay, ma che stavolta vede alla regia i belgi Adil El Arbi e Bilall Fallah. Con Marcus (Lawrence) ormai divenuto padre, il suo partner d’azione Mike (Smith) sente sempre più opprimente il peso degli anni e della solitudine. Il ritorno di un nemico del passato, desideroso di vendetta, spingerà i due bad boys a fare di nuovo squadra per abbattere la minaccia una volta per tutte.

Evidentemente una buona fetta di pubblico è abituata molto male o semplicemente disperata per l’ormai pessima reputazione che circonda Michael Bay e i primi capitoli della saga che lo videro coinvolto. Non si spiegherebbero altrimenti gli incassi e le lodi che Bad Boys for Life ha attirato. Ma andiamo con ordine: l’assenza di Bay si sente, e questa frase è da intendere come una lode. Senza più la regia inutilmente confusionaria del colosso dell’action, il film di Arbi e Fallah procede senza dubbio in maniera più ordinata e senza affaticare troppo la visione. Da un punto di vista meno tecnico, Bad Boys for Life è ben consapevole del fatto di essere arrivato forse fuori tempo massimo. Un suo pregio sta nel puntare numerose volte su questo aspetto, anche attraverso il confronto tra i due protagonisti e la squadra di nuovi giovani agenti, tra i quali spicca Rita (Paola Núñez), ex compagna di Mike.

Purtroppo niente di tutto ciò basta. I tempi del film risultano eccessivamente dilatati e ad un certo punto la noia inizia a sopraggiungere, nonostante la presenza di vari plot twist. Il casting di Vanessa Hudgens, promosso in modo sproporzionato, avrebbe potuto essere evitato senza alcun problema, dato che lo spessore della sua Kelly è prossimo allo zero. Anche l’autoreferenzialità poco fa lodata finisce per ritorcersi contro il film, per il semplice motivo che quest’ultimo ne abusa. Tranne una manciata di momenti genuinamente divertenti, la maggior parte delle interazioni di Mike e Marcus tra loro o con il resto del gruppo propongono battute ormai bollite, più adatte al pubblico invecchiato assieme ai bad boys che a quello giovane abituato a un umorismo ben diverso.

Si può immaginare che sia proprio questa parte di pubblico ad aver decretato il successo di Bad Boys for Life. Sony, che a quanto pare aveva puntato molto su un risultato simile, non ha esitato ad applicare la formula dell’universo cinematografico seriale anche a Bad Boys, con l’immancabile scena post-credit a porre le basi di un seguito. A tutti i difetti elencati finora si aggiunge quindi quello, fin troppo diffuso negli ultimi vent’anni di cinema high budget, dell’arroganza. Fa comunque meno male vederla qui che in Escape Plan 2.

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