Il DC Extended Universe (DCEU), universo condiviso dei supereroi targati DC Comics, continua il suo percorso sempre più spedito, dopo i successi degli ultimi anni, e inizia il 2020 puntando su uno dei suoi cavalli di battaglia: la folle criminale Harley Quinn. Dopo il suo esordio nel pessimo Suicide Squad (2016), il personaggio interpretato da Margot Robbie torna in Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn, del quale l’attrice è anche produttrice. Diretto da Cathy Yan, il film si pone come sequel di Suicide Squad, mostrando le vicende di una Harley ormai non più legata sentimentalmente a Joker. Allo stesso tempo vengono narrate le storie dei futuri componenti delle Birds of Prey, gruppo di guerriere nate su carta e già nel 2002 portate sul piccolo schermo. I principali interpreti oltre Margot Robbie sono Mary Elizabeth Winstead (Helena Bertinelli/Cacciatrice), Jurnee Smollett-Bell (Dinah Drake/Black Canary), Rosie Perez (Renee Montoya) e Ewan McGregor (Roman Sionis/Maschera Nera).

L’abbandono delle atmosfere a ogni costo cupe ha di certo giovato al DCEU, dando ai suoi autori una maggiore libertà creativa e permettendo di creare storie di supereroi molto più vicine alle formule di successo della rivale Marvel. Non è purtroppo questo il caso di Birds of Prey, che gode sì dell’alleggerimento dell’atmosfera, ma è gravato da una serie di problemi interni che non riescono a farlo giungere ai (relativi) fasti di uno Shazam o di un Wonder Woman.

Per averne un’idea basta andare alla base, rappresentata dal titolo, e confrontarla con il risultato finale. Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn: a prima vista lascerebbe pensare a una centralità del gruppo di vigilanti e alla secondarietà di Harley, mentre in realtà è l’esatto opposto. Sebbene venga concesso un certo margine di azione a Dinah e Renee, il film è chiaramente costruito sulla folle antieroina, alla quale vengono riservate le sequenze più dinamiche e i dialoghi più frizzanti, mentre un personaggio potenzialmente molto interessante come Cacciatrice è colpevolmente lasciato in disparte.

Non sarebbe neanche un vero problema, se non fosse che la maggior parte dei momenti che la vedono presente finiscono col risultare alla lunga fastidiosi. La componente metanarrativa del film è tutta costruita attorno al personaggio di Harley, che è voce narrante ed influenza la stessa struttura narrativa. La non-linearità di quest’ultima non ha una motivazione stilistica, ma è semplicemente l’espressione dell’instabilità di Harley, che racconta la storia a modo suo. Il punto è che Birds of Prey non ha l’arguzia di Deadpool e la sua protagonista effettiva non ha dialoghi e carattere all’altezza di quelli del Mercenario Chiacchierone. Questo aspetto, concepito come uno tra gli assi nella manica del film, si piega quindi su se stesso e perde gran parte della sua efficacia.

È tuttavia il ritmo il vero punto debole di Birds of Prey. Il team-up tra le protagoniste entra in gioco solo negli ultimi venti minuti, probabilmente i migliori del film, durante i quali avvengono le sequenze d’azione più creative e si nota l’alchimia tra le pur diversissime compagne di battaglia. Tutto ciò che avviene in precedenza è un confuso intreccio di sottotrame, che non riesce a darsi una struttura coerente e a decollare fino alla costituzione della squadra. Il lato positivo è che questi personaggi hanno comunque tutto il potenziale per potervi costruire attorno progetti interessanti, se lasciati agli autori giusti. Il primo terreno di prova lo avrà non a caso proprio Harley Quinn, che nel 2021 tornerà sullo schermo in The Suicide Squad di James Gunn. Menzione speciale alla deliziosa sequenza animata che apre il film e che poteva far sperare in un migliore approccio alla storia. Questa volta non lo abbiamo avuto.

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