Parafrasando De Andrè: “Dai diamanti non nasce niente… ma Adam Sandler può dimostrare finalmente di essere un attore!”
I fratelli Josh e Benny Safdie sono solo l’ultimo esempio di come la chimica tra due persone che hanno la stessa visione e la reciproca fiducia fra loro (oltre che gli stessi geni) può fare veramente la differenza. Soprattutto quando si lavora per un film.
Così come i Coen e le Wachowski prima di loro, infatti, i due fratelli scrivono, dirigono e montano personalmente e in perfetta sinergia i propri film, come dimostrano i loro precedenti lavori come Heaven Knows What e Good Time.
Con un stile registico del tutto particolare, basato su un montaggio veloce a cui fa da eco una colonna sonora particolare, anche questo Diamanti Grezzi (Uncut Gems) si conferma un’opera a sé stante nel panorama americano, anche all’interno del mondo dei cosiddetti “film indie”, da cui i due registi provengono.
Uno stile che sembra richiamare, per certi versi, il primo Neorealismo, ma con un occhio particolare anche allo stile di registi “pulp” come Guy Ritchie e Nicholas W. Refn. E con una colonna sonora particolare che sembra sempre fare da “coro greco” alle vicende narrate.
La cura maniacale con cui vengono rese inquadrature e primi piani di questo film fa capire come i due registi-fratelli abbiano avuto veramente a cuore questo progetto, probabilmente dovuto al fatto che proviene dal loro stesso ambiente famigliare. I due, infatti, sono ebrei siriani il cui padre lavorava nel Diamond District di Manatthan, luogo in cui è ambientata la vicenda.
Un’opera, dunque, che sa bene di che cosa racconta e che potrebbe, dunque, farlo in tutti i modi possibili con pochi sforzi, poiché la materia è ben conosciuta. Ma i due registi hanno deciso di renderla nel modo meno “sicuro” possibile, quasi per scommessa con loro stessi. Il che è comunque coerente con la vicenda narrata!
La prima grande scommessa dei due è sicuramente la scelta dell’attore protagonista: Adam Sandler, l’ultimo attore a cui si penserebbe per un film del genere. Eppure l’attore che detiene un record non invidiabile di Razzie Awards per commedie discutibili come Jack e Jill (anche se è comparso in pellicole di un certo spessore come Spanglish e The Meyerowitz Stories), risulta essere la scelta migliore per interpretare il ricettatore e scommettitore Howard Ratner, protagonista di questa “parabola disamorale”.
Il film, infatti, è una descrizione dettagliata della vita e del lavoro di questo personaggio davvero sfaccettato e ambiguo come pochi. Tutto comincia quando Howard mette le mani su un gigantesco opale in cui sono incastonati alcune gemme di diamante grezzo, proveniente direttamente da una miniera in Etiopia. La prima scena del ritrovamento dell’opale funge quasi da premonizione per indicare tutte el disavventure che la pietra porta con sé.
Howard, infatti, decide di impegnare la pietra con il cestista Kevin Garnett (qui interprete di sé stesso) in cambio del suo anello da campione NBA con i Boston Celtics. Con i soldi che poi Howard farà su con l’asta dell’opale riuscirà a pagare il suocero Arno (Eric Bogosian), il quale da tempo lo sta facendo seguire dai suoi sgherri per dei debiti non saldati. Un piano che sembra facile, così sulla carta e nella mente di Howard. Ma il caso (o il caos, cambiando qualche lettera, in cui vive Howard) e la sfortuna di cui l’opale sembra portatore, renderanno più complicati i piani del protagonista, fino ad un’ultima rischiosa scommessa che ha come posta in palio la sua stessa vita.
Nonostante, ad una prima visione, Howard possa sembrare quasi uno stereotipo politicamente scorretto di sé stesso (il banchiere ebreo), in realtà l’umanità e la faccia (che inevitabilmente suscita simpatia) di Adam Sandler, fa sì che questo personaggio si riveli una meravigliosa maschera tragica. Da una parte, come già detto, ricettatore senza scrupoli, vittima e carnefice di un sistema basato sulla fiducia, in un mondo dove la fiducia non può esistere; dall’altra un padre e un marito (e amante occasionale) che cerca di rendere felici amici, famigliari e conoscenti. In fondo, forse, l’unica persona onesta in un mondo di disonesti.
Molta di questa empatia che Howard riesce a suscitare (e, dato il personaggio in questione, non era affatto scontata) è dovuto sicuramente alla performance di Sandler, il quale rende “suo” il character (lo stesso Sandler è ebreo e notoriamente appassionato di basket, come lo stesso Howard)e gli conferisce quell’umanità che è la base essenziale di questa pellicola. Nonostante la mancata nomination agli Oscar, dunque, un grande lavoro di caratterizzazione che ha ben meritato gli applausi e le critiche positive dell’ultimo Telluride Film Festival, location in cui il film è stato presentato prima della distribuzione mondiale su Netflix.
Allo stesso modo tutte le altre interpretazioni del resto del cast (tutti scelti fra i migliori caratteristi americani di origine ebraica e alcune nuove e promettenti promesse), così come delle guest-star del caso che, pur dovendo interpretare semplicemente sé stesse, hanno dimostrato doti attoriali notevoli (il già citato Kevin Garnett ma anche il cantante The Weeknd).
Una racconto breve dal sapore esistenzialista ma ritmato e frenetico come un lungo videoclip musicale, nonché uno dei film indie meglio riusciti degli ultimi tempi, dal finale per nulla scontato, esattamente come quello di una scommessa sportiva.
E, in questo caso, si può die che la scommessa dei fratelli Safdie ha centrato perfettamente il suo obiettivo!
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