What did Jack do? è un cortometraggio di 17 minuti diretto da David Lynch datato 2017 ma pubblicato solo di recente da Netflix.
Il corto è interamente ambientato in una stanza, una sorta di saletta all’interno di una stazione ferroviaria, e la scenografia è composta unicamente da un tavolo con due sedie e una finestra dalla quale si scorge una piccola porzione di paesaggio.

I soli due personaggi, escludendo un paio di fugaci apparizioni, sono David Lynch stesso, nei panni di un sospettoso detective prelevato direttamente dal noir, e una scimmia, accusata di aver compiuto un omicidio. Ciò che tiene banco è il conflitto verbale sempre più acceso tra i due, strutturato con un campo-controcampo, dove l’accusa del detective si fa sempre più insistente mano a mano che il tempo passa e la difesa della scimmia si indebolisce gradualmente. Una sorta di partita a scacchi fino alla capitolazione finale.

Ciò che What did Jack do? ci dona è un senso di straniamento, deriato non solo dalla più ovvia presenza di una situazione totalmente surreale, come un interrogatorio di una scimmia accusata di omicidio, ma un bianco e nero straniante, un senso di noir non convenzionale, uno scambio di battute apparentemente, per larghi tratti, quasi prive di senso (d’altronde come Lynch ci ha abituati anche nei suoi precedenti cortometraggi), ma anche la vicenda che, piano piano, si compone dagli stessi dialoghi, con un rapporto particolare tra animali di diverse specie.

Insomma, una chicca da non farsi scappare per i fan di David Lynch, dove in 17 surreali minuti ci mostra l’ennesima sua improbabile visione, senza, apparentemente, accenni a critiche di un genere ma lasciando libero sfogo alla sua contorta mente, che, in fondo, amiamo. Una sorta di “gioco” che il regista ci propone, tra sé stesso, in versione noir, e un sè in versione piccola e sprovveduta scimmia.

What did Jack do? si colloca in quei meandri dell’onirismo che Lynch ha continuato a esplorare soprattutto dopo Inland Empire e che ci conduce, facendoci smarrire, in mondi in cui l’assurdo è legge e il non convenzionale è la normalità. Inseguire il regista in questi viaggi è sempre complicato, ma estremamente affascinante.

 

 

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