Passano gli anni ma la serie antologica horror, American Horror Story è ormai un cult della televisione. Questa nona stagione, seppur debole e sottotono, si conferma di grande intrattenimento e conferma nuovamente che il prodotto è un’abile contenitore narrativo della mitologia horror statunitense. Questa nuova stagione è un omaggio al cinema slasher e si rifà direttamente a cult come venerdì 13. Lo show rilegge in chiave black comedy tematiche universale dell’horror made in USA, proponendo storie che mantengano la mitologia originale per poi essere declinate in versioni moderne che abbiano riferimento alla contemporaneità. Parlare del passato per raccontare le paure dell’oggi, proponendo una narrazione accattivamene, moderna, operando un’opera di riscrittura con un sottotesto semplice e che sia in grado di essere compreso da tutti.

Negli ultimi anni, da show quasi horror puro, AHS è diventato quasi una parodia del genere. Un cambio strutturale che abbraccia rende la serie più accessibile allo show ma che ha fatto “arrabbiare” i primi appassionati che rimpiangono “Murder House” e “Asylum”. Nonostante questa cambiamento, AHS è marchio di grande intrattenimento con un intreccio divertente, semplice e che, cosa molto importante, si guarda volentieri.

Basato sui slasher movie tipici degli anni Ottanta, questa nona stagione è un chiaro riferimento a pellicole basate sui tipici lungometraggio horror sul campeggio. Il titolo è un chiaro riferimento a quegli anni. La cosa interessante di AHS è la sua capacità di creare un mondo coeso, credibile con una propria mitologia interna di facile comprensione. Le regole di quel mondo sono poche e i colpi di scena sono all’ordine della puntata. Ciò che è importante nello show non è “spaventare gli spettatori” ma sbalordirli con colpi di scena che creino una “sospensione narrativa”. Il fine è sorprendere utilizzando una costruzione narrativa che si allarga man mano che la storia evolve. Pochi dettagli che rendono, inizialmente, la diegesi intrigante per poi estendersi e svelare la macronarrazione. Per un fan di AHS è importante lo svelamento dell’intreccio; anticiparlo e comprenderlo in anticipo. Tutto ciò crea soddisfazione e internamento.  

AHS: 1984 converge molto sul filone parodistico. I personaggi principali sono stupidi ma in linea con la loro caratterizzazione. Sono giovani, vivono a L.A. e sono tutti fissati con la palestra. Hanno poca esperienza di vita e sono passionali. Casualmente si trovano invischiati in sette sataniche e serial killer (in particolare alla storia vera di Richard Ramirez, Night Stalker, che spaventò Los Angeles negli anni Ottanta). AHS: 1984 propone una storia che riflette in modo esaustivo il periodo storico degli anni Ottanta. Un’aderenza a quegli anni che gioca un ruolo importante nella storia. Quindi, complessivamente, lo show è un omaggio all’intero decennio. A livello di costruzione dei personaggi principali, questa stagione si rivela carente poiché sono sfaccettati in modo grossolano. Personaggi piatti, monodimensionali, grotteschi e con poche motivazioni solide che giustifichino le loro azioni. Vero che AHS non ha mai brillato sotto questo aspetto, tuttavia, in questo nuovo ciclo di episodi manca il carisma, un personaggio ben caratterizzato che incarni l’essenza di questa storia. Si sente la mancanza dei due storici attori, Evan Peters e Sarah Paulson.

Questa nona stagione si conferma di buon intrattenimento tuttavia non è in grado di soddisfare appieno in quanto propone situazioni ed elementi mitologici (tipo le persone bloccate in un luogo una volta morte) già viste e assorbite. C’è poco di nuovo e nonostante il cambiamento temporale, non presenta nessuna novità dal punto di vista creativo. Si nota una certa mancanza di idee originali e ormai si capisce che lo show è quasi arrivato alla frutta. Essendo un macro universo narrativo che abbraccia multi-stagioni, tali scelte narrative possono essere “inglobate” in un’ottica allargata, ma come singola stagione, è molto al di sotto delle precedenti. AHS: 1984 ripresenta situazioni già note e gioca sul fattore malinconia. Propone un modello strutturale narrativo che nelle ultime stagioni è rimasto praticamente uguale. Si percepisce una stanchezza e seppur sia divertente seguirla, AHS sembra aver perso la retta via.

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