Una tra le più famose gare automobilistiche di sempre è la 24 Ore di Le Mans, che vede i partecipanti correre sul tracciato per la durata, appunto, di ventiquattro ore. Nel 1966 la Ford Motor Company decise di progettare un’auto in grado di partecipare e vincere la competizione, strappando il primato alla potentissima Ferrari. Le Mans ‘66, diretto da James Mangold, racconta proprio questa storia. Il capo ingegnere e designer Carrol Shelby è qui interpretato da Matt Damon e il pilota Ken Miles da Christian Bale, mentre la moglie di quest’ultimo, Mollie, da Caitriona Balfe.
Un’opera come Le Mans ‘66, figlia del cinema americano ad alto costo, non può non raccontare una storia simile in maniera parziale. I suoi protagonisti sono esaltati a discapito della maggior parte degli avversari, pur con tutti i difetti del caso. Tuttavia, il film riesce a non superare il limite dell’irritante, ed anzi risulta decisamente godibile nonostante le due ore e mezza di durata. Lo fa tramite tutto ciò che caratterizza il miglior cinema hollywoodiano: una solida sceneggiatura e una regia dinamica ed elegante allo stesso tempo, elementi che gli permettono di raccontare una lunga e complessa vicenda senza mai perdere in potenza. Ogni scena di corsa è magistralmente realizzata, senza comunque mettere in ombra le sequenze di semplice dialogo, sempre in grado di coinvolgere e, quando serva, divertire.
Altro fiore all’occhiello è l’ottimo gruppo di attori, tra i quali spicca il trasformista Christian Bale, qui alle prese con l’interpretazione più caricata del film. Damon, Balfe, Tracy Letts e Jon Bernthal (Henry Ford II e Lee Iacocca, rispettivamente numero 1 e 2 di Ford) non sono meno efficienti nel portare sullo schermo i propri personaggi. Menzione speciale per Remo Girone nel ruolo di Enzo Ferrari, ma soprattutto per la sua sequenza d’esordio. Il tentativo di acquisto del marchio Ferrari da parte dei dirigenti Ford si traduce nel rifiuto dell’imprenditore italiano, che respinge gli uomini d’affari in uno sfogo d’ira e violenza che difficilmente non emozionerà lo spettatore (in special modo se patito di Ferrari).
Lo scontro tra Ford e Ferrari portato avanti in Le Mans ’66 può quasi essere paragonato all’interminabile battaglia tra cinema narrativo convenzionale made in USA e cinema d’essai europeo, slegato dai vincoli imposti da Hollywood. L’industria sarà sempre dominata dal primo, ma non mancherà mai spazio per il prodotto più elaborato e fuori dagli schemi, il cui pubblico di affezionati sarà una presenza costante. Le Mans ’66 è quindi coerente nella rappresentazione di questo scontro, perché la trama che intesse sancisce la vittoria del proprio schieramento. Tuttavia non si rivela manicheo ed arrogante nel difendere le sua posizione, ma anzi mostra il degno rispetto nei confronti dell’angolo opposto, cosa affatto scontata.
Le Mans ’66 ha in definitiva tutte le carte in regola per togliere al bel Rush di Ron Howard il titolo di miglior film automobilistico di questo decennio. Come sempre, a decidere sarà l’elemento tanto importante per il riconoscimento artistico quanto per le performance di piloti e ingegneri: il tempo.
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