In anteprima, l’ultima pellicola di Martin Scorsese, a cavallo fra passato e futuro del cinema.
Il termine “New Hollywood” denota una particolare fase del cinema hollywoodiano (a cavallo tra gli anni 60 e 80) caratterizzata da un grande sperimentalismo narrativo e produttivo.
Protagoniste indiscusse del periodo, alcune pellicole e autori che avrebbero fatto la Storia del Cinema come Apocalypse Now di Francis Ford Coppola (recentemente tornato nelle sale con l’edizione Final Cut), Gangster Story di Arthur Penn e Easy Rider di Dennis Hopper (anche questo tornato nei cinema restaurato di recente).
I registi della New Hollywood, i primi a uscire fuori dalle neonate università dove si tenevano i primi corsi dedicati alla settima arte, avevano voglia di affermarsi come autori a tutto tondo, ciascuno cercando un suo stile personale e unico.
Tra i registi usciti da questa new wave particolarmente fortunata, Martin Scorsese può essere ritenuto la vera punta di diamante. L’uomo che ha di fatto re-inventato il genere gangster-movie, descrivendone soprattutto la manovalanza invisibile delle retrovie (più che i grandi boss), torna al cinema con un film che fin da subito si dichiara come la summa di questa sua ricerca tematico-stilistica.
The Irishman però è molto di più che una semplice operazione-nostalgia.
La pellicola, infatti, può essere vista, allo stesso tempo, sia come un omaggio all’intera filmografia del regista italo-americano, sia come una re-interpretazione della stessa aggiornata ai tempi moderni.
Sullo schermo si avverte fin da subito, infatti, il “tocco scorsesiano” fatto di lunghi piani-sequenza e carrellate, accompagnati da una colonna sonora che comprende grandi classici del periodo 50-60 (periodo in cui viene ambientata la vicenda narrata), i dialoghi taglienti e sarcastici e i continui omaggi ai classici del genere (The Godfather di Coppola soprattutto), oltre che alla sua stessa fimografia. Ma il tutto è velato da una malinconia e una consapevolezza che fanno sì che il film risulti in qualche modo “slegato” da tutte le altre pellicole del regista italo-americano, rendendolo, a suo modo, unico.
Il tutto coadiuvato da un gruppo di attori-feticcio (Robert De Niro, Joe Pesci, Harvey Keitel e un Al Pacino alla sua prima collaborazione con il regista!) facenti parte della cosiddetta “generazione dell’Actor’s Studio hollywoodiano”, uno dei punti di forza proprio del movimento della New Hollywood. Questi rappresentano una sorta di “garanzia di qualità” anche per il pubblico che si trova fin da subito immerso in un’atmosfera da film epico nonché conclusione di una vera e propria saga cinematografica iniziata con Mean Streets.
Il film, tratto dal saggio I Heard You Paint Houses di Charles Brandt, è basato sulla vita di Frank “The Irishman” Sheeran (Robert De Niro), sindacalista e sicario mafioso nella New York del dopoguerra. Ex-veterano di guerra, da semplice camionista diventa ben presto il braccio destro di Russel Bufalino (Joe Pesci), esponente di spicco dell’omonima famiglia mafiosa italo-americana, nonché principale mediatore tra questo e un altro grande protagonista indiscusso dell’epoca: il controverso sindacalista e leader dell’IBT Jimmy Hoffa (Al Pacino).
Il film è un vero e proprio spaccato della “giornata-tipo” di un criminale comune inglobato all’interno di una vera e propria “multinazionale del crimine”, e allo stesso tempo una storia intima di amicizia, sospetto e tradimenti di cui Frank è sia testimone esterno e narratore, sia artefice e protagonista indiscusso.
Una storia minore, dunque, come molte altre del regista, che però si collega alla Storia (con la S maiuscola) dell’intera criminalità americana, scomodando perfino ipotesi complottiste sull’omicidio-RFK.
La vicenda di questo “impiegato della malavita” è priva però di qualsiasi retorica o enfasi, nulla che possa assurgere ad un’“epica mafiosa”. Si tratta di un percorso di formazione al contrario (semmai di “distruzione”) dove, alla fine del viaggio, l’eroe/protagonista rimane sempre fedele a sé stesso, ergendosi a icona proprio per via della sua (apparente) imperturbabilità di fronte agli accadimenti che lo vedono partecipe. Una sorta di “Amleto-gangster” perennemente in lotta tra affetti e senso del dovere.
Non esiste morale all’interno di The Irishman, semmai una malinconica consapevolezza, da parte di autori e regista, che non esiste redenzione e che, alla fine dei conti, non ci sono né vincitori né vinti, ma solo i sopravvissuti e la solitudine che li accompagna.
In questo senso il film funge da metafora (e da “commiato”) per un certo tipo di (fare) cinema e la filosofia che lo accompagna, in cui Scorsese dimostra di aver inserito anche buona parte del suo vissuto personale in esso. È indubbio, infatti, che l’obiettivo principale del regista e degli attori è fare un omaggio al genere che li ha resi noti a tutto il mondo, e allo stesso tempo riflettere sulla stessa evoluzione del “loro” cinema, in un momento in cui questo si sta evolvendo in un medium completamente diverso (come più volte ribadito dallo stesso Scorsese).
L’intesa che si crea sullo schermo tra due mostri della recitazione come Al Pacino e Robert De Niro è sicuramente (come già detto) il punto di forza dell’intera pellicola, ma anche le interpretazioni degli altri comprimari e delle “nuove leve” non sono da meno. Tra questi, caratteristi e attori più o meno noti del panorama attoriale italo-americano (Bobby Cannavale, Kathrine Narducci…), e volti presi dalle serie tv (Jesse Plemons, Anna Paquin…), i quali rappresentano, invece, la nuova generazione attoriale e che comunque non sfigurano di fronte a questi “mostri sacri”, dimostrandosi, ciascuno di loro, adatto per il rispettivo ruolo. Il che rende ancora più variegata e interessante l’intera pellicola proprio per l’amalgama che si crea tra questi due “stili” di recitazione.
Al di là dell’omaggio al “mito scorsesiano”, infatti, The Irishman è un film che ricerca comunque un dialogo con il cinema contemporaneo e che, nelle sue intenzioni, vorrebbe riportare all’oggi quello sperimentalismo narrativo e visivo che era tipi co della New Hollywood. E lo fa, ad esempio, puntando sui diversi piani temporali su cui si basa la storia e sulle possibili innovazioni dovute all’uso della CGI, qui sviscerate nel make-up sui personaggi, per cui è possibile vedere “dal vivo” l’invecchiamento e il ringiovanimento sui volti di De Niro, Pesci e Pacino. Va detto però che, da questo punto di vista, il risultato finale è forse l’elemento meno riuscito del film poiché il meccanismo di finzione è ben riconoscibile (meglio, da questo punto di vista, il normale “trucco e parrucco”) e ben poco plausibile. Meglio, invece, la fotografia e la scenografia “vintage” che riescono a riprodurre quel tipo di immagine “sgranata” che riesce a trasportare (letteralmente) lo spettatore dentro l’atmosfera degli anni 50-60 (e per cui la visione in sala, rispetto che in casa, vale sicuramente la pena, ndA).
The Irishman è sicuramente un film da vedere, in quanto ulteriore testimonianza e conferma che ci può essere un modo di fare cinema “alternativo”, capace ancora di basarsi sulla potenza del racconto e sul senso dell’epica narrativa. Oltre che un’occasione per vedere all’opera i più grandi attori hollywoodiani riuniti in un’unica pellicola.
Le quasi 4 ore di girato scorrono via con una velocità impressionante, con un buon ritmo narrativo che alterna plot twist interni e momenti dialogici intensi, e con un finale allo stesso tempo “chiuso” e “aperto”, per cui è impossibile non rimanere incollati anche dopo i titoli di coda.
Nonostante tutto, dunque, una pellicola ancora proiettata verso il futuro più che sul passato del cinema, capace, nel suo piccolo, di innovare e ispirare ancora. Una vera e propria dichiarazione d’intenti da parte di Scorsese & co.
La New Hollywood non c’è più ma ha ancora il coraggio di far sentire la propria voce dallo schermo (grande o piccolo che sia) allo spettatore, se questo è ancora disposto ad essere trascinato dentro l’ennesimo racconto di amore, amicizia e morte, rappresentati sempre in maniera mai banale e/o superficiale.
La pellicola è stata distribuita in versione originale sottotitolata in alcune sale italiane selezionate (QUI l’elenco) nei giorni 4-5-6 novembre 2019, ma ad oggi è stata rinnovata fino all’8 novembre (per cui si consiglia di tenere d’occhio le pagine web delle sale), sarà poi disponibile definitivamente sulla piattaforma Netflix dal 27 novembre 2019!
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