Dopo il Leone d’oro vinto al 76esimo festival di Venezia, Joker di Todd Phillips è diventato un’unicità nello spettro dei cinecomics. Inteso come una storia di origini del Joker, il più famoso tra i supervillain DC, vede ad interpretarlo Joaquin Phoenix. Nel film di Phillips il Joker è un aspirante stand up comedian di nome Arthur Fleck, mentalmente instabile e umiliato dalla vita. Le avversità finiranno per metterlo su una strada nefasta dalla quale non potrà più tornare indietro.
Appositamente costruito per puntare a nuovi orizzonti di riconoscimento, Joker è molto distante dal film supereroistico medio. Scontri accesi, effetti speciali e performance pirotecniche vengono lasciati da parte in favore di approfondimento psicologico e critica alla contemporaneità. Phoenix è l’indiscussa punta di diamante del film. Dal suo Arthur traspaiono evidenti il dolore e la follia di un uomo sempre più disperato e incurante della realtà che lo circonda. Il suo Joker è profondamente umano, con una componente di “pazzia fumettistica” ridotta al minimo indispensabile.
Queste risorse sono però al servizio di una narrazione che forza il pubblico ad empatizzare con il suo controverso protagonista. Non sarebbe neanche un aspetto davvero negativo, se non fosse che l’empatia scatta più grazie ai demeriti di chi interagisce con Arthur piuttosto che grazie ad Arthur stesso. I suoi nemici sono ovunque: bulli di strada, superiori, yuppies arroganti, forze dell’ordine, persino cittadini comuni. A coronare la lista abbiamo l’ipocrita, classista e irresponsabile Thomas Wayne (interpretato da Brett Cullen e padre del futuro Batman, Bruce Wayne), rappresentante di tutto ciò che è percepito come deplorevole nella politica odierna.
Nella Gotham City simbolo delle decadenti metropoli contemporanee, chiunque danneggia Arthur. Le poche persone a cui tiene, come la madre Penny (Frances Conroy) e la vicina Sophie (Zazie Beetz), finiscono per allontanarsi in un modo o nell’altro da lui, lasciandolo in balia della negatività e trasformandolo nel Joker. In una simile situazione diventa quasi impossibile non stare dalla parte di un personaggio così vilipeso. La messa in scena non fa che acuire il tutto: fotografia, musica, location contribuiscono ad aumentare il senso di disagio e rendere sempre più facile il meccanismo di immedesimazione. Certi dialoghi, intrisi di retorica dall’eccessivo semplicismo, chiudono il cerchio.
Ergere Arthur ad eroe è comunque l’atto più errato che si possa fare. Le sue azioni e le conseguenze che queste scateneranno sono disastrose ed ingiustificabili. Arthur ha un idolo, Murray Franklin (Robert De Niro), stella della comicità che gli ha dato il nomignolo di Joker e presentatore di uno show nel quale sogna di apparire da anni. Durante una manifestazione dell’instabilità di Arthur, Franklin gli ricorda che il mondo non è così malvagio come lui lo concepisce. Una frase che tuttavia arriva quasi a passare inascoltata, sia dal Joker che dagli spettatori, dopo quello che tutti loro si sono trovati davanti in precedenza.
Specifichiamo: tutta l’aura di ambiguità e semplicismo che Joker può mostrare non ne oscura i meriti oggettivi. È sempre positivo vedere opere che riescono ad ergersi come velieri nell’oceano di mediocrità che contraddistingue i cinefumetti. Ulteriore punto forte del film è la dimensione intertestuale, immancabile in un contesto del genere.
Abbiamo visto come Joker mostri moltissime differenze rispetto ai cinecomics standard, compresi tutti i film di Batman nei quali appare “il pagliaccio principe del crimine”. Il collegamento più importante però si ha in particolare con un film diretto da Martin Scorsese nel 1983, Re per una notte. Su ammissione stessa di De Niro, il rapporto tra Arthur e Franklin rispecchia quello che caratterizza i due principali personaggi del film di Scorsese. Il dilettante in difficoltà era interpretato non a caso da De Niro, mentre il comico di successo da Jerry Lewis. Gli stessi eventi di Joker rassomigliano quelli di Re per una notte, per quanto il risvolto drammatico sia molto più accentuato, coerentemente con il tono complessivo del film. Si può perciò dire che Joker sia una sorta di versione più cupa e oscura della fin troppo misconosciuta opera di Scorsese. Se la performance del film di Phillips avrà un impatto sufficiente a permettere di riscoprire il suo “fratello maggiore”, ciò non potrà che diventare un ulteriore elemento di pregio.
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