Nei sui quasi vent’anni di attività, Mindy Kaling ha dimostrato il suo talento in diverse forme. La sua abilità di attrice, scrittrice e performer comica le ha permesso di ottenere spazi rilevanti sul palco, al cinema e in televisione. E poi c’è Katherine è il primo film scritto interamente da Kaling, che ne è anche protagonista assieme ad Emma Thompson. Diretto da Nisha Ganatra, E poi c’è Katherine vede Molly Patel (Kaling), addetta al controllo qualità in una fabbrica e dilettante della commedia, venire assunta quasi per caso come sceneggiatrice nel talk show di Katherine Newbury (Thompson). L’intraprendenza e il carattere di Molly permetteranno a Katherine, veterana del settore ormai in crisi professionale e personale, di risollevare sia il proprio show che il proprio umore vacillante.
Il paragone con Il diavolo veste Prada è quasi una certezza per chiunque si approcci a questa storia. Entrambi i film raccontano di ragazze dalla poca esperienza entrare in ambienti di lavoro ostili, dominati da donne con grande carisma e atteggiamento sprezzante. Il setting e l’umorismo di Katherine fanno tornare alla mente anche 30 Rock, celebre serie creata da Tina Fey e ambientata anch’essa nella writing room di un programma comico. Il film di Ganatra resta però decisamente lontano dal livello di follia che contraddistingueva la serie, tenendo i piedi ben più saldi a terra; sempre per gli standard del suo genere, certo.
Per quanto sia fondamentalmente una commedia drammatica non troppo complessa, E poi c’è Katherine ha in realtà più pregi di quanto potrebbe sembrare. In perfetta attinenza con le tendenze dei nostri tempi, adotta la diversità come uno dei suoi temi dominanti. La writing room del programma di Katherine è interamente composta da sceneggiatori maschi e bianchi prima dell’arrivo di Molly, che viene in realtà assunta proprio per questo motivo. Per quanto dettata dal politically correct, questa scelta non irrita, perché non tradisce la sua consapevolezza ed anzi vi costruisce sopra tutta l’essenza del film.
Il duo Kaling-Thompson rende perfettamente l’idea della volontà di indurre un cambiamento. Katherine non ha mai dato una vera caratterizzazione femminile al proprio show, anche a causa dell’omogeneità presente tra i suoi sceneggiatori. Questo la pone come uguale e contraria a Molly, reclutata anche, ma non solo, perché considerata la persona più adatta ad introdurre una caratterizzazione simile.
Molly, donna di origini indiane, è soprattutto l’elemento di minoranza in grado di valorizzare il contesto nel quale è collocata. Bisogna considerare che negli Stati Uniti il concetto di minoranza è diverso da quello che si intende in Italia e nella maggior parte delle nazioni europee. Il personaggio portato sullo schermo da Kaling rappresenta i milioni di cittadini americani di origine non caucasiche i quali, pur essendo statunitensi sia legalmente che culturalmente, hanno in proporzione meno possibilità di trovare impieghi specializzati rispetto ai loro corrispettivi wasp. Se dotate delle giuste abilità, simili risorse possono fornire la giusta spinta per dare una marcia in più al proprio ambiente senza snaturarne la coerenza di fondo.
Anche Katherine, al di là del calo degli ascolti, si trova a combattere insidie, a livello sia concettuale che di immagine pubblica. L’avversario nel primo caso è la comicità misogina e gratuitamente volgare, sempre più diffusa anche in reazione a ciò che online è percepito come un buonismo eccessivo. Nel secondo caso è la proverbiale macchina del fango mediatica, messa puntualmente in moto per affossare psicologicamente il bersaglio di turno.
Infine i vari riferimenti e frecciatine a certe caratteristiche della televisione americana (tra cui anche l’aspetto corporate, altro punto in comune con 30 Rock) rappresentano ulteriori bonus per un film che, nonostante non si distacchi mai dagli stilemi tipici della commedia mainstream americana, risulta sempre gradevole e attento al presente. Nel tanto utilizzato paragone con Prada esce sicuramente vincitore.
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