Dall’acclamato romanzo La vita invisibile di Euridíce Gusmão, scritto nel 2016 dall’astro nascente della letteratura brasiliana Martha Batalha, il regista brasiliano Karim Ainouz ha tratto il film omonimo. La storia narra le vicende delle giovani sorelle Gusmão, Euridíce (Carol Duarte) e Guida (Julia Stockler), separate forzatamente dal padre Manuel (Antonio Fonseca) nella Rio de Janeiro degli anni Cinquanta, dopo la scoperta che Guida aspetta un figlio da un uomo che egli non approvava. Nel frattempo i decenni passano e il cambiamento del paese fa da cornice a un racconto di lontananza e difficoltà.

Ciò che di certo non manca al film è l’ambizione. Il racconto de La vita invisibile copre un enorme periodo di tempo, toccando numerosi argomenti. La causa che dà inizio ai tristi eventi è il bigotto autoritarismo del padre padrone Manuel, perfettamente inquadrato nello sfondo di oppressione maschilista tipico del tempo. Uno sfondo che tornerà ad essere presente in più occasioni, provocando ogni genere di disagio a Euridíce e Guida.

Una storia caratterizzata dall’affetto reciproco delle sorelle viene letteralmente divisa a metà. Da una parte Guida, ripudiata dal genitore e data in pasto ad una vita di indigenza nelle zone più oscure di Rio; vivrà una vita colma di stenti ed umiliazioni, costretta ad occuparsi del figlio senza suo marito, fuggito dalle responsabilità. Dall’altra parte Euridíce, rimasta in famiglia e assoggettata a tutte le scelte del padre, da quelle sentimentali a quelle di carriera; anche lei vittima di un marito indegno, cercherà in ogni modo di contattare Guida, ma la mano occultatrice di Manuel impedirà qualunque corrispondenza.

Mancanza di libertà, indigenza, maschilismo, cambiamenti della società, amore, malignità: rendere adeguatamente una simile quantità di elementi sullo schermo è tutt’altro che semplice. Il film di Ainouz però ci riesce. L’eleganza della messa in scena e dell’intreccio narrativo rende il tutto estremamente scorrevole, trasportando il pubblico lungo una storia affatto semplice da assimilare, anche per via dei suoi 140 minuti di durata. Duarte e Stockler interpretano i loro personaggi in maniera magistrale; grazie alla loro intensità, diventa impossibile non essere colpiti da tutto ciò che le loro Euridice e Guida subiscono. E ovviamente la sequenza finale, che vede la partecipazione di Fernanda Montenegro, forse la più acclamata attrice brasiliana di sempre. Con quel tocco di realismo magico tanto caro alla narrativa sudamericana, è la chiusura perfetta per una storia che ha fatto del legame tra le due protagoniste il suo punto di forza, in grado di tenere saldamente insieme tutte le altre componenti dell’opera. Labile quanto si vuole, ma comunque indistruttibile.

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