L’ultimo film di Werner Herzog, applaudito a Cannes 2019 e ora in anteprima al Biografilm Festival di Bologna.

Il film del 1928 The Crowd di King Vidor parla di un uomo che sbarca a New York con la volontà di fare carriera e distinguersi dalla folla. Dopo una serie di peripezie però si troverà a scontrarsi con la dura realtà della grande metropoli che vuole piuttosto che le persone rimangano anonime, chiuse dentro un ingranaggi odi routine continua. Di questo film è noto il movimento di macchina virtuosistico finale in cui, dentro una sala cinematografica, dai primi piani dei protagonisti ci si erge verso l’alto rendendo tutti gli spettatori presenti come un’unica grande “folla” anonima (per l’appunto).

C’è un po’ di King Vidor anche in questo ultimo lavoro del regista Werner Herzog, che forse ne rappresenta, sotto molti aspetti, la declinazione contemporanea.
Sia a livello tematico (la solitudine e l’alienazione dell’uomo contemporaneo) sia come virtuosismo registico, infatti, Family Romance LLC si rivela uno dei più cosmopoliti al mondo e sempre alla ricerca di un’innovazione e un’originalità continua.

Dopo Meeting Gorbachev l’attenzione del regista si sposta verso il Giappone contemporaneo, mostrato in tutta la sua bellezza e varietà dall’uso di droni e da una tecnologia a bassa risoluzione che però permette di evidenziare in modo pressoché perfetto la città di Tokyo, con movimenti di macchina che ne evidenziano la vita frenetica, sia delle persone che della natura intorno.

Con un movimento similare a quello di Vidor, ma al contrario, la telecamera passa ben presto dal campo lungo della metropoli giapponese al primo piano del protagonista della vicenda, Yuichi Ishii.
Questo è un uomo dalla spiazzante normalità. Padre, marito e amico modello, nulla che lasci trasparire qualcosa che non vada, che non sia “nella norma”. Peccato che qualcosa di anormale ci sia eccome: la sua stessa vita. Ishii è in realtà un attore. O meglio è il rappresentante della Family Romance LLC, un’agenzia in cui si possono affittare persone che interpretano, di volta in volta, amici e famigliari. Si tratta di un servizio che viene offerto soprattutto per le persone sole, che hanno bisogno di qualcuno accanto con cui parlare. Un business molto redditizio in un paese dove si regista il più alto numero di persone sole al mondo, quasi un vero e proprio servizio sociale.

Herzog torna dunque sul tema della solitudine come metafora del mondo contemporaneo, già affrontato nel precedente Meeting Gorbachev. Ma se, in quel caso, si trattava della solitudine stoica di un ex-politico che sa di aver fatto la storia del suo paese e non solo, qui si tratta di una solitudine privata, quasi poetica, che non si mostra mai del tutto ma è visibile in tutto il film.

Si tratta della solitudine dello stesso Ishii, ancor prima di quella dei suoi clienti. Il film è il racconto (espresso in maniera oggettiva e documentaristica e senza alcuna volontà di dare per forza una morale) di un uomo che fa della menzogna il suo scopo della vita. Una menzogna fatta certamente a fin di bene, ma che alla lunga può sfociare in un malessere e alienazione che, nella pellicola, viene rappresentato dai sogni di Ishii, così metaforici e reali allo steso tempo.

Herzog impreziosisce la pellicola con i continui riferimenti alla cultura giapponese, ai rituali di morte e alle usanze religiose e quotidiane che, nel loro complesso, scandiscono la vita dei giapponesi. È soprattutto il racconto di uno stile di vita, letto in tutte le sue sfaccettature. Un continuo passaggio tra palazzi e hotel iper-moderni e abitazioni e paesaggi rurali. Una dicotomia che si presta bene al tema proposto. Va detto però che tutto questo viene trattato dal regista in una maniera imparziale, con un occhio che vuole essere il più orientale possibile e immergendosi completamente in questa cultura.

La scelta di una tecnologia a bassa risoluzione è certamente data da questa volontà, e il risultato è quello di un documento davvero veritiero di un fenomeno che parte dal Giappone ma che riguarda, in maniera glocale, anche un po’ il mondo occidentale. E in tutta questa iper-realtà c’è comunque spazio anche per il misticismo e il divino, evidenziato dal tema ricorrente della morte (forse la vera causa della paura della solitudine) e dalla colonna sonora, un miscuglio di temi sonori occidentali e orientali, come a voler evidenziare maggiormente il glocalismo di cui è portatrice questa pellicola.

Lo scenario e l’ipotesi da cui parte il film è futuristico, ma allo stesso tempo è molto reale e attuale, forse più vicino alla nostra realtà di quanto non crediamo. E anche per questo motivo è un film che va sicuramente visto.

A 77 anni Werner Herzog si dimostra, ancora una volta, uno degli autori più prolifici del cinema mondiale, nonché uno dei pochi capaci di mescolare realtà e finzione per creare film sperimentali e innovativi come pochi, capaci di parlare direttamente alla mente e al cuore dello spettatore!

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