Sergio Rubini, da sempre noto al grande pubblico come attore ma spesso anche regista e sceneggiatore, ha dimostrato mestiere e sensibilità in diversi dei film che ha scritto e diretto. Lo dimostra anche con il suo ultimo lavoro, Il grande spirito, nel quale è protagonista assieme a Rocco Papaleo. Rubini qui interpreta Tonino, membro di una banda di ladri che, infortunatosi dopo essere fuggito con la refurtiva, viene soccorso da un uomo che gli si presenta come Cervo Nero (Papaleo), convinto di appartenere alla tribù dei Sioux. Cervo Nero crede che Tonino gli sia stato inviato dal Grande Spirito, figura centrale nel credo dei nativi americani, e si impegna a tenerlo nascosto e curarlo.
Il grande spirito è un film la cui forza è imprescindibile dalla cornice nella quale è posto. La storia che racconta si svolge infatti nella periferia di Taranto, e uno dei suoi maggiori punti di forza sta proprio nel suo mostrare e raccontare la difficile realtà di quelle zone, riuscendo grazie all’uso di strumenti di grande efficacia. Il più persistente tra questi strumenti è il dialetto: talmente marcato da essere spesso accompagnato da sottotitoli, il dialetto tarantino permette come pochi altri elementi di calare lo spettatore nella giusta atmosfera. Inserirlo così massicciamente in un film diretto al grande pubblico, in questo periodo in cui il cinema italiano appare sempre più standardizzato anche nel linguaggio, è senz’altro un’operazione meritevole.
A livello visivo e narrativo il film non si risparmia. Malattia mentale, sangue, sparatorie, sfruttamento della prostituzione; tutto va a formare un deprimente affresco che fa quasi passare in secondo piano le vicende di Tonino e i suoi tentativi di recuperare il bottino. In generale, Il grande spirito ricorre meno della media italiana ad espedienti di narrazione che possano apparire scontati. Anche il piano registico è curato in modo non indifferente, con un dinamismo e una costruzione dell’inquadratura che nelle commedie italiane (per quanto il film di Rubini abbia anche tinte drammatiche) sono attualmente rari.
Infine, Il grande spirito è un film che ha il grande pregio di non lasciarsi andare a smielatezze e ipocrite rassicurazioni. Abbiamo già potuto notare come i drammi delle vite ai margini qui vengano rappresentati senza troppe sottigliezze e ricorrendo solo ad una quantità minima di escamotage inflazionati. Le battute finali del film confermano e rimarcano questi assunti, in una serie di avvenimenti che, pur nella loro drammaticità, risultano perfettamente coerenti e forniscono alla trama la conclusione che più le si addice. La bizzarra amicizia tra Tonino e Cervo Nero, con quel briciolo di magia che non snatura l’impianto narrativo, rappresenta al meglio la natura ambivalente del film, storia di fiducia come di denuncia. Ci sono diversi modi di raccontare una dura realtà, ma riuscire a farlo con gli strumenti della commedia è particolarmente difficile. Con Il grande spirito, Rubini ci è riuscito.
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