Negli anni precedenti e successivi alla seconda guerra mondiale, Melita Norwood era segretaria del capo progetto britannico per lo sviluppo di armi atomiche nel Regno Unito. Grazie a tale posizione riuscì a passare importantissime informazioni all’Unione Sovietica, e questa attività di spionaggio fu uno dei fattori che permisero ai sovietici di realizzare il loro modello di bomba atomica nel 1949. Le imprese di Norwood ispirarono un romanzo scritto da Jenny Rooney e chiamato Red Joan. Dal romanzo in questione è stato ora tratto un film dal titolo omonimo, diretto da Trevor Nunn. Melita Norwood in entrambe le fonti viene rinominata Joan Stanley ed interpretata da Sophie Cookson negli anni della giovinezza e da Judi Dench durante la vecchiaia. Red Joan viaggia infatti su due linee temporali, presentando la storia della giovane Joan con una serie di flashback raccontati dalla Joan anziana in un’interrogazione da parte delle autorità. La maggior parte della trama è dunque ambientata nella prima metà del Novecento.

Nonostante la sua protagonista abbia una storia personale di grande impatto, il film non riesce a raggiungere gli ambiziosi obiettivi che si era prefisso. L’eccessivo didascalismo e la mancanza di ritmo sono i principali problemi che affliggono Red Joan, rendendo la visione più ardua di quanto dovrebbe e deludendo le aspettative che il racconto cerca di costruire. D’altro canto gli interpreti, per quanto penalizzati dalla sceneggiatura, riescono a rappresentare sempre egregiamente le situazioni messe in scena. I momenti condivisi dalla giovane Joan con il suo superiore Max (Stephen Campbell Moore) o, da anziana, con il figlio Nick (Ben Miles) sono indubbiamente i punti di forza più stabili del film di Nunn. Anche l’esposizione delle vere idee di Joan, che avvantaggiò l’URSS senza condividerne l’ideologia solo per mantenere l’equilibrio geopolitico, è di certo interessante. Purtroppo neanche questo basta a compensare i lati negativi già enunciati.

Red Joan è un perfetto esempio di come non basti l’idea a fare il film; sembra percorrere una strada inversa rispetto a quella percorsa dalle storie di spionaggio di oggi, che ormai vengono reinterpretate in modi sempre diversi (anche guardando al passato) e spesso pregevoli. Se in questo genere di film le idee di trama finiscono di fatto per far sempre parte dello stesso ristretto campionario, l’efficacia può essere raggiunta solo grazie alle intuizioni di messa in scena e allo stato della loro realizzazione. È per questo che film come La talpa, Il ponte delle spie, Kingsman e Atomica bionda, pur diversissimi tra loro, riescono tutti a centrare il bersaglio. Red Joan invece, fallace sotto quasi ogni punto di vista (eccetto appunto recitazione e soggetto), esce dai binari della spy story contemporanea e si ritrova quasi a rassomigliare a qualcos’altro. In definitiva, si può dire che, più che un film di spionaggio, Red Joan sia un non troppo brillante period drama.

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