Anna Todd iniziò a farsi notare come scrittrice pubblicando online una fanfiction, After, avente tra i personaggi due membri del celebre gruppo pop One Direction. Evolutasi in una serie di romanzi basata su nuovi personaggi, stavolta originali, catturò subito l’attenzione di Hollywood. Quest’anno ne è stato tratto un film, chiamato appunto After e diretto da Jenny Gage. La trama vede la studentessa modello Tessa (Josephine Langford) arrivare al college e innamorarsi del rude, ma in fondo sensibile, Hardin (Hero Fiennes-Tiffin), con tutti i pregiudizi e le difficoltà del caso.

L’esistenza di After è una prova lampante della ciclicità dei gusti del pubblico. Dopo decenni di storie d’amore basate sullo scontro tra mondi differenti, ci si aspetterebbe un effetto di ridondanza in grado di scoraggiare i fruitori dal dare attenzione a schemi narrativi così triti e ritriti. After infatti è in sostanza un colossale agglomerato di cliché tenuti insieme da una messa in scena anonima e da una narrazione arrancante. Lei illibata studentessa modello, lui intellettuale maledetto, i compagni di università ribelli e promiscui, la madre (interpretata da Selma Blair) severa e rigida, l’ex fidanzato troppo buono e ingenuo. Le situazioni che li coinvolgono hanno un livello di banalità uguale o addirittura superiore.

Nonostante tutto, sembra che tra i nuovi potenziali spettatori non manchi mai l’interesse per questo tipo di storie, pur risultando, le stesse, del tutto inflazionate allo stato attuale. Del resto, l’indole bigotta di un certo tipo di pubblico statunitense non può che dirsi soddisfatta da ciò viene messo sullo schermo. After espone infatti una visione decisamente conservatrice della vita dei giovani adulti ai quali in teoria dovrebbe essere diretto il suo messaggio. Il personaggio di Tessa, dopo il contatto con Hardin e gli altri studenti universitari, viene “traviato” e abbandona la sua diligenza accademica; gli studenti dal carattere più libertino sono dipinti come maligni e infidi manipolatori; la madre di Tessa, piena di pregiudizi, finisce per avere ragione su quasi tutto. A ciò si intreccia una serie di svolte narrative che, soprattutto nella seconda parte della trama, non convincono e danno l’idea di non essere altro che dei riempitivi.

After è una vera e propria macchina del tempo; solo che anziché affascinarci portandoci in un’epoca passata, ci tedia ricorrendo a caratterizzazioni e stratagemmi che si sperava fossero ormai stati lasciati alle spalle. Ad un certo punto la colonna sonora ci presenta una cover, eseguita da Olivia O’Brien, della hit Complicated di Avril Lavigne. Molto in voga tra i giovani dei primi anni Duemila, l’artista canadese rappresentava il punto nel quale il mainstream e l’ordinarietà tipici dell’Occidente agiato incontravano una vena di finto anticonformismo, in grado di dare un’illusione di ribellione permettendo tuttavia di tenere i piedi ben piantati a terra e le spalle coperte. La sua riproposizione in After, in una versione più al passo con i tempi, è il simbolo definitivo della natura ciclica questo tipo di storie e dei loro echi reazionari: forma leggermente diversa, sostanza sempre identica e destinata a restare tale.

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