Abbandonato il terzo capitolo finale dalla trilogia di Del Toro sul Diavolo Rosso, Mike Mignola, autore del fumetto da cui è stato adattato il franchise cinematografico, produce il reboot con un nuovo attore (David Harbour che rimpiazza il “vecchio” Ron Perlman) e regista (Neil Marshall). Tuttavia, nonostante sia una pellicola spettacolare, piena di mostri e che ha al suo interno tutti gli ingredienti tipici del fumetto (autoironia, linguaggio scurrile, conflitto interiore sul fatto di essere un mostro e lo splatter) non riesce a soddisfare gli spettatori, proponendo una storia confusionaria, mal scritta e con personaggi caratterizzati in malo modo. Uno degli elementi più disastrosi che emerge in questo reboot è il “troppo”, nel senso che ci sono numerosi personaggi e storyline che distraggono dalla storia principale. Una pellicola “gonfiata” con l’inserimento di spettacolari mostri che non aggiungono niente alla trama e servono solo a dilatare la durata.
Questo reboot punta maggiormente sull’azione piuttosto che caratterizzare i personaggi dal punto di vista interiore. Il lato negativo è che le scene movimentate non sono neanche cosi spettacolari e stupefacenti. Girate in modo goffo e poco chiaro, rendono il reboot brutto, confusionario e un flop anche dal punto di visita dell’intrattenimento. Nemmeno il lato “spatter” soddisfa poiché le scene sono inefficaci e mediocri. Non emerge nessun momento clou.
Il compartimento che più soffre in questo pellicola è quello della sceneggiatura, della storia. La trama principale è semplice e si collega direttamente al mito di Re Artù, rielaborato ed adattato per Hellboy e per far emergere come antagonista principale la Regina di Sangue. Fin qui, nessun problema, il fatto è che poi vengono inserite numerose storyline secondarie che rallentano il ritmo e rendono il film noioso e impalpabile. Alla vicenda arturiana si aggiungono la storia di origine di Hellboy, quella della medium e la vicenda del suo partner. Troppe digressioni che non rendono il lungometraggio chiaro e lineare. La narrazione pertanto è ingolfata, prolissa, senza mordente e con dialoghi scritti male. La stessa Regina di Sangue, che dovrebbe essere la super villain che si contraddistingue, come sua pari, ad Hellboy, risulta disinnescata e monodimensionale. Lo stesso trio di protagonisti nasce casualmente, senza nessi proveniente da conseguenze logiche. Forzature che risultano banali. Scene inserite senza un vero motivo e che servono solo a rendere più confusionaria la storia (la scena con Baba Jaga era indispensabile?). Hellboy è un personaggio pieno di sfaccettature e vive un conflitto interiore importante, ma la storia non mettere in risalto tutti i suoi demoni interiori. Il conflitto che vive viene reso scialbo, ridicolo e senza ansia.
A livello filmico Hellboy manca di mordente, di tensione, di ansia e di “momenti di sospensione della realtà”. Non c’è epica, conflitto e dramma. Senza quest’ultimo elemento è impensabile di realizzare una pellicola efficace e che generi palpitazioni ed emozioni negli spettatori. Altrimenti, il film si riduce ad accozzaglia di scene d’azione con poco nesso. Difatti, il lungometraggio è molto deludente. Insalvabile sotto ogni punto di vista. Dall’horror e dall’elemento dark si arriva ad una farsa storia sul paranormale, facendo perdere al film anche l’anima gotica e nera, intrinseca del personaggio.
Si tratta di un’occasione mancata per rilanciare un franchise fumettistiche che nella sua mitologia possiede numerosi elementi vincenti. Hellboy è un personaggio tridimensionale e se caratterizzato in maniera consona possiede archetipi conflittuali importanti e d’impatto. Pertanto, quanto reboot è una pellicola completamente dimenticabile.
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