Bentornati, miei cari horror maniaci,
dopo un lungo periodo di piattume torno finalmente a parlarvi di un film degno di questo nome: Noi di Jordan Peele, in sala da un paio di settimane. Aspettavo di vedere questo film da molto tempo e sono davvero felice che stia riscuotendo tanto successo, sia da parte del pubblico che della critica, e che negli Stati Uniti abbia avuto incassi da capogiro.
Come molti di voi sapranno, Peele è molto conosciuto negli Stati Uniti come attore comico, ma grazie al successo del suo bellissimo Get Out è ormai divenuto un soggetto da tenere d’occhio per noi amanti del macabro. Ricordiamoci anche che il nostro caro Jordan si è portato a casa un Oscar alla sceneggiatura lo scorso anno e non è cosa da sottovalutare se pensiamo a quanto il genere horror sia poco considerato dall’Academy.
Ma cosa differenzia Peele da molti suoi colleghi? Cosa rende i suoi film così speciali?
Innanzitutto, bisogna riconoscere la maestria e l’intelligenza con cui compone le storie che dirige, mai troppo contorte ma nemmeno ordinarie. Se ad esempio in Get Out il protagonista nero doveva sfuggire agli squilibrati parenti della sua fidanzata bianca, in Noi vediamo le vicende di una famiglia apparentemente normale, i Wilson, alle prese con i propri cloni assassini. Non sentite già il dolce profumo dell’originalità? La voglia irrefrenabile di saperne di più?
In secondo luogo, con le sue sceneggiature, Peele raccoglie l’eredità di un certo horror di stampo politico-sociale che non si vede in giro così spesso, in linea con la lezione del Maestro George Romero, che ne ha fatto una personale impronta stilistica, ma anche di John Carpenter in vena di polemiche. Più che concentrarsi su spiriti, leggende, evocazioni e jump scare un tanto al chilo – che per carità, non ci dispiacciono – Peele scova infatti l’orrore nel quotidiano e nell’ipocrisia della società odierna; da brividi, effettivamente.
Ma veniamo alla trama. La famiglia di Adelaide (la Lupita Nyong’o di 12 anni schiavo) va a farsi una bella vacanza nella casa al mare a Santa Cruz. La donna è molto turbata, perché proprio in quel luogo, da bambina, si era imbattuta in qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Si era infatti allontanata dai genitori per perdersi nella sala degli specchi di un luna park (dove primeggia la scritta “Find yourself”) e uscirne totalmente cambiata. L’atmosfera di disagio del film, che fino a quel momento si limitava ad aleggiare sulle nostre teste, si fa concreta quando una notte, nel giardino dei Wilson compaiono i succitati cloni, vestiti con delle tute rosse da carcerati e con intenti non certo amichevoli. I quattro entrano in casa e la sosia di Adelaide, l’unica in grado di parlare, afferma tranquillamente: «noi siamo americani» prima di dare filo da torcere all’allegra famigliola. Non passerà molto tempo che dalla classica home invasion si passerà a un attacco globale e molte altre “ombre” andranno alla ricerca dei propri doppi per eliminarli e prendere il loro posto (una menzione speciale va data alla mia adorata Elisabeth “Difred” Moss nel suo doppio ruolo).
Se in Get Out la motivazione razziale prendeva di mira il singolo individuo trasformandolo in un’ambita preda, in Noi si sale a un livello superiore, per puntualizzare sul concetto di discriminazione di classe che si ritorce sull’andamento della società intera. I sosia sono infatti frutto di un esperimento del governo, estromessi dalla vita di superficie e nascosti da occhio umano per essere relegati in un bunker nel sottosuolo; si tratta dei nostri doppelgänger, una versione alternativa e malvagia di noi stessi, ciò che saremmo se fossimo nati in un diverso contesto, fatto di povertà e di assenza di privilegi – quelli che, per intenderci, ci permettono di avere una voce in capitolo nell’assetto socio-politico attuale. Per contro, la nostra immagine speculare è identica ma muta, anche se con abilità fisiche superiori e desideri repressi che aspettano di essere soddisfatti. A capo dei ribelli c’è l’unica ombra dotata della parola, che altri non è che la stessa Adelaide, sostituita dalla propria doppelgänger quand’era bambina e rimasta nel sottosuolo per trent’anni a fomentare la rivolta. L’incontro tra le due, spiega la sosia, è stato voluto dal destino, perché le ombre possiedono un legame spirituale con propri doppi; ciò implica che il riscatto sociale da parte di chi non ha voce è solo questione di tempo.
Un altro elemento di grande fascino sono le innumerevoli metafore di cui è costellato il film, come le forbici, arma prediletta dei sosia e simbolo di divisione, o i conigli, loro alimento base ma anche animale spesso oggetto di esperimenti scientifici. Vi sfido a individuare le altre!
Ma la tirata d’orecchi più evidente nei confronti dell’America contemporanea consiste nella messa in atto del riscatto da parte degli emarginati, che si piazzano nelle città tenendosi per mano e formando una catena umana. Si tratta di un’evidente parodia della Hands Across America, iniziativa benefica del 1986 nata per raccogliere fondi a favore dei bisognosi e che all’epoca ebbe una grande risonanza mediatica ma che sicuramente non ha avuto rilevanti conseguenze morali e materiali a lungo termine. Adelaide si è chiaramente ispirata a questo evento per pianificare la ribellione delle ombre, probabilmente perché è l’ultima cosa che ha visto in televisione prima di sparire ed è dunque l’estremo legame con il suo passato di benessere e comodità.
Non ci è dato da sapere come andrà a finire l’invasione a seguito della fuga dei Wilson, ma la citazione biblica di Geremia 11:11 più volte citata, sembra essere abbastanza chiara: “Perciò, così parla l’Eterno: ecco, io faccio venir su loro una calamità, alla quale non potranno fuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò”.
Per il nostro regista e sceneggiatore, insomma, il vero orrore serpeggia nella società occidentale contemporanea e osservarla e dipingerla con occhio cinico è cosa buona e giusta. Anche questa volta siamo infatti ben lontani dal concetto di zombie affamati vs. umani ingordi e alieni sotto mentite spoglie, per citare ancora i suoi illustri predecessori, poiché di sovrannaturale non vediamo sostanzialmente nulla: le azioni malvagie provengono da noi gente perbene e a fagocitarci non è altro che la nostra paura dei “diversi”, che da un momento all’altro temiamo possano invaderci (non è forse così anche qui?).
Senza dubbio, Noi potrebbe essere uno splendido episodio di Ai confini della realtà.
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