Horror satirico ambientato nel mondo dell’arte. Il risultato però non è dei migliori.

Il legame tra il mondo delle arti visive e quello del cinema è sempre stato molto stretto come è giusto che sia per due discipline che si basano entrambe sul visivo.

Per quanto riguarda il cinema horror si potrebbe citare il thriller psicologico di Dario Argento del 1996 La sindrome di Stendhal, in parte ambientato nel mondo dei musei e delle gallerie d’arte, luoghi pieni di fascino ma anche di personaggi avidi e meschini.

In questo tipo d’ambiente si svolge anche la storia di Velvet Buzzsaw, film Originale Netflix diretto da Dan Gilroy (già regista di Lo sciacallo-Nightcrawler), che presenta al suo interno una vera e propria satira legata la mondo dei musei-gallerie intese più come il luogo in cui l’arte si compra e si vende.

Protagonisti della pellicola, infatti, sono il critico d’arte Morf Vandelwalt (Jake Gyllenhall), la proprietaria della Galleria Haze Rhodora (Rene Russo) e le spregiudicate agenti/manager artistiche Gretchen (Toni Collette) e Josephina (Zawe Ashton).
Tutti e quattro questi personaggi ruotano attorno all’importante Galleria Haze, luogo dove gli artisti emergenti fanno a gara per essere notati e dove, dietro la facciata luccicante dei colori e delle tempere, si nasconde un covo di vipere pronte a sbranarsi per avere più potere e considerazione (e soldi ovviamente).
L’occasione della vita per ciascuno di loro è rappresentato dal ritrovamento fortuito di alcuni dipinti di quello che all’inizio sembra essere un anonimo pensionato morto d’infarto.
Si scopre poi che il vecchio pensionato è un ex internato di un manicomio e che nel tempo ha sviluppato una passione per il disegno rappresentando le terribili esperienze della sua vita. Dei dipinti di una bellezza tragica e rara che attirano subito l’attenzione dei quattro protagonisti, i quali cercano a tutti i costi di approfittare della scoperta di questi dipinti preziosi, tralasciando il fatto che l’autore, nel suo testamento, si era raccomandato di farli bruciare in quanto sembrano posseduti da strane presenze che diventano particolarmente vendicativi quando qualcuno prova a venderli.

Velvet Buzzsaw si presenta come uno strano mix di satira sociale (riguardo per l’appunto il mondo dell’arte) e di thriller soprannaturale. Più che un miscuglio però il risultato finale è una  distinzione netta tra i primi 50 minuti del film e il suo seguito.
La prima parte del film, infatti, è tutta basata su dialoghi brillanti da screwball comedy in cui viene fuori tutto il cinismo dei quattro protagonisti principali e le nevrosi del mondo attorno a loro. Non si può, infatti, non pensare alla famosa scena di “approccio” di Provaci ancora Sam, nel dialogo iniziale tra Morf e Gretchen.
Poi, quasi improvvisamente, dal minuto 50 avviene il vero colpo di scena veramente “horror” che poi si esplicherà in visioni oniriche e uccisioni compiute dagli stessi quadri e dipinti.

 

Immagine tratta dal film Velvet Buzzsaw – screenshot da www.netflix.com.

 

Il risultato è una pellicola che risulta discontinua e poco amalgamata in tutti i suoi elementi narrativi. L’eccessiva durata poi (quasi due ore) non aiuta certo a diminuire l’effetto straniante di un film che cerca continuamente di stupire con effetti particolare e barocchismi registici che però sembra vogliano solo mascherare e abbellire una storia molto “piatta” e banale sotto molti punti di vista.

Entrambe le parti sembrano poi non funzionare molto bene. Sebbene, infatti, il film presenti un cast molto ricco e già “rodato” per il regista (a cui si aggiungono uno straordinario John Malkovich e una brillante Natalia Dyer) la prima parte del film presenta recitazioni al limite del macchiettistico (in particolare il personaggio di Gyllenhall) che appaiono molto forzati e quasi fuori dal contesto. La sensazione è che il regista abbia dato parecchia libertà interpretativa ai propri attori quando però sarebbero servite, forse, un’indicazione e una linea comune più precise. Mentre alcuni personaggi, infatti, fanno dell’esasperazione del proprio cliché il proprio punto di forza, altri si perdono in dialoghi/monologhi che virano sul filosofico/esistenzialista. contribuendo così a rendere la pellicola discontinua.

Non se la cava di certo meglio la parte “horror” che riprende stilemi già utilizzati in altri film al limite del citazionismo (il “proiettore maledetto” pare ripreso da IT di Andres Muschietti) che a maggior ragione sanno di già visto e che cercano inutilmente un effetto jumpscares che, di fatto, non avviene quasi mai. Il meccanismo di suspense su cui si regge tutta questa seconda parte diventa ben presto prevedibile, cosicché lo spettatore immagina fin da subito come andrà a finire il tutto, e la previsione si avvera ampiamente.

L’effetto finale è più grottesco che non horror vero e proprio, con poche sorprese e con un dark humour che non riesce ad essere veramente feroce quanto dovrebbe. Anche perché l’ambientazione scelta è troppo “particolare” affinché ci sia una reale empatia con i personaggi e la loro visione cinica e nichilista dell’esistenza.

A trovate stilistiche geniali, dunque, si contrappone una storia abbastanza semplicistica e banale che non appassiona e non riesce a suscitare la suspense promessa, sempre in bilico tra due generi inconciliabili come la commedia grottesca e l’horror.

Si può considerare la pellicola solo come un esperimento malriuscito, sperando che la lezione si stata appresa da regista e interpreti, che rimangono comunque un ottimo cast nonostante tutto.

 

Immagine tratta da Velvet Buzzsaw – screenshot da www.netflix.com.

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