Polar è il nuovo film di Netflix, prodotto da Constantin Film e dalla Dark Horse Enterteinment, distribuito a partire dal 25 gennaio. Nel cast troviamo Mads Mikkelsen, Vanessa Hudgens, Katheryn Winnick e Matt Lucas. Tratto dall’omonimo graphic novel del 2012 scritto da Victor Santos è diretto da Jonas Akerlund.

Duncan Vizla, soprannominato Black Kaiser, è un assassino su commissione prossimo all’età pensionabile che cerca di costruirsi una vita “normale” lasciandosi alle spalle tutta la morte e la violenza della precedente. Il suo capo, Blut, dirige un’agenzia di assassini professionisti la quale, come politica, prevede che, col superamente dell’età pensionabile stabilita nei cinquant’anni, al lavoratore spetti una copiosa liquidazione, la quale, però, è destinata a tornare all’agenzia nel caso della morte dell’avente diritto. Trovandosi in una situazione debitoria decide, quindi, di avvalersi di questo cavillo legale per trattenere le pensioni degli ex dipendenti, tra cui, appunto, il nostro Black Kaiser.

Importante risulta il rapporto tra Duncan e la sua vicina di casa, Camille, una ragazza estremamente fragile e pacifica. Pur estremamente diversi il loro legame fa, in parte, da motore per il procedere della narrazione che diviene sempre più violenta e movimentata. Di contorno ci sono una sfilza di personaggi estremamente colorati, per rendere l’effetto ancora più fumettoso, ed estroversi. Dalla squadra che si occupa di “liquidare” gli agenti prossimi alla pensione, a Fierce, quasi una femme fatale (anche se un po’ troppo ingessata e poco caratterizzata), fino ad arrivare a Blunt, un misto tra un egocentrico vanesio e un boss mafioso.

Polar, però, non risulta spiccare da quella coltre di scene un po’ troppo confuse che vediamo. Si alternano momenti di azione concitata e ben fatta ad altri che appiattiscono il tutto facendo salire un senso di noia. Probabilmente il regista si accontenta di proporre scene di violenza un po’ per colmare il senso di noia a cui ci conduce la narrazione, o di darci dei personaggi un po’ troppo stereotipati e privi di caratterizzazioni convincenti, come il gruppo di assassini che da la caccia al protagonista. Non basta un sempre ottimo Mikkelsen per portare avanti, da solo, una trama con molti più alti che bassi, che ci lascia in testa davvero poche scene, come ad esempio la lunga scena di sesso tra Duncan e il personaggio interpretato da Ruby O. Fee, un po’ fine a sé stessa, ma con l’evidente intento di attirare l’attenzione di un annoiato spettatore.

Il problema è che il film non riesce a proporre qualcosa di convincente, restando in quella categoria di pellicole anonime le quali vengono facilmente dimenticate il giorno dopo averle visionate, non lasciando assolutamente nulla allo spettatore.

 

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