Escape at Dannemora è una miniserie tv del canale statunitense Showtime, trasmessa in Italia da Sky Atlantic. Totalmente girata da Ben Stiller, segna la prima incursione registica del noto attore comico in una serie televisiva. Lo show, composto da otto puntate (in originale 7, ma in Italia l’ultimo episodio è stato scisso in due parti) di durata variabile, racconta la storia vera della fuga di due detenuti (Richard Matt e David Sweat) della prigione di Dannemora nello Stato di New York nel 2015.

La qualità della miniserie è molto alta e nella resa, complessivamente, è un buon prodotto televisivo. In gran parte, la brillantezza è dovuta alla performance dei tre protagonisti (Del Toro, Paul Dano e Patricia Arquette) che reggono molto bene e rappresentano, con efficacia, le diverse sfumature fisiche e psicologiche dei loro personaggi. La scelta del cast, in generale, è ottima e rende in maniera ottimale in quanto attori scritturati appositamente per quei ruoli. Benicio del Toro si conferma un carismatico abile manipolatore in grado di passare da una modalità “tranquilla” ad “sanguigna, violenta”. Dano si conferma il bravo ragazzo, gran lavoratore, un po’ sognatore e poco sicuro di sé stesso.  La vera “rivelazione” è Patricia Arquette con una performance che sorprende, visto il difficile compito di rendere efficace e credibile la personalità di una persona che si fa sedurre dai due prigionieri, in quanto brava a rendere le sfumature della donna in modo ambiguo (infelice, libertina e che rivive una nuova giovinezza e vigore grazie alla sua relazione clandestina con David Sweat).

Il fulcro dell’intera vicenda è Matt, artista tormentato (Pittore) e con una complicata relazione con le sue due figlie, che riesce a sfruttare la relazione clandestina tra Tilly (Arquette) e David ed è abile nel manipolare la donna e “costringerla” ad aiutarli nella fuga, facendogli reperire seghetti e altri oggetti per organizzare l’evasione. Grazie al suo carisma riesce ad avvalersi di David che, alla fine, inizia a sognare la libertà. Matt è il personaggio che sotto certi aspetti ha il maggior stravolgimento all’interno della storia perché il suo atteggiamento nella prigione è completamente differente rispetto a quello che atteggia durante la fuga. Fuori dalla prigione non riesce ad orientarsi e trovare un equilibrio mentale per riuscire ad evadere; incolpa gli altri per non essere riuscito a completare il suo piano. Ubriaco, violento e pericoloso non riesce ad adeguarsi all’aperto. Abituato ad essere un leone in una “gabbia dorata”, in cattività si sente debole e vulnerabile. Succube di vizi e inadeguatezza, con poco istinto di sopravvivenza. Quindi è il personaggio che cambia maggiormente, che mostra un diverso lato di sé. David, invece, vive un ribaltamento opposto pur non cambiando mai il proprio essere. Rimane una persona coerente, affidabile, sia dentro che fuori le sbarre. All’esterno inizia a sognare la libertà in quanto reo di un’ingiustizia penale. Incitato da Matt, pensa alla fuga come ad una corsa ad ostacoli. Tilly è succube delle proprie pulsioni libertine e della poca autostima che ha di sé stessa. Perennemente insoddisfatta, si abbassa ai piaceri della carne e, a causa della sua ingenuità, si lascia persuadere da Matt. Dire che non è esattamente una classica “paesanotta” insegua. Nella sua indole, anche Tilly mostra delle abilità manipolatorie e, all’occorrenza, riesce ad essere crudele e spietata.  Abbagliata dal rinvigorimento carnale con il giovane David e dal sogno di “evadere” dalla sua realtà per il Messico (qua visto come un paese della Terra Promessa), si lascia persuadere. Tuttavia, a causa della sua labile personalità, si blocca per dei sensi di colpa e di lealtà verso il suo secondo marito Leyle, brava persona ingenua pazza di sua moglie. La parabola discendente della donna è un contrappasso congruo a ciò che ha seminato lungo la sua vita. Un percorso fatto di numerosi errori e che la mettono in una posizione simile ai due detenuti.

La regia è semplice, tradizionalista e buona. Ci sono dei momenti di puro virtuosismo che sono congrui alla tipologia di storia (prison drama). In particolare, emerge il piano sequenza nel quinto episodio dove l’incipit della puntata ci mostra il percorso verso la libertà. Una regia curata e con occhio ai dettagli. Tuttavia, in numerosi casi è fredda e distaccata. Non fonde il giusto calore alla storia. Meglio negli spazi chiusi della prigione piuttosto che nei campi lunghi della montagna.

Il neo di tutto ciò è la troppa dilatazione e il poco bilanciamento nei momenti di climax. Troppi episodi per orchestrare la fuga e troppo poco tempo per l’epilogo. Quindi, dal punto di vista narrativo c’è uno sbilanciamento e una mancanza di sintesi che rendono la storia poco fluida e troppo alterata. Inoltre, l’episodio sei che racconta il passato dei tre protagonisti è sballato. Non solo cronologicamente, ma anche dal punto di vista dell’impatto emotivo complessivo nello show. Fornisce un rafforzamento e un background ai protagonisti ed inoltre serve come “ribaltamento” di prospettiva nei confronti della loro percezione agli occhi degli spettatori. Se nella prigione sono tranquilli detenuti che sognano la libertà, in quell’episodio ci viene mostrato anche il loro passato e da lì in poi si cambia la loro impressione. Questo è un rafforzativo narrativo che pare eccessivo e che, forse, non era necessario. Sarebbe stato più idoneo evocare il passato con flashback. Vero che non racconta la storia in maniera convenzionale e lascia ampio dibattito fuori dalla diegesi in cui gli spettatori possono trarre le proprie conclusioni sul passato dei protagonisti, ma ciò va a discapito della godibilità della storia. Meglio la parte in prigione in cui le vicende sono interessanti e veicolate da una regia fluida. Nell’ultima parte i personaggi sono meno caratterizzati e poco curati e, nonostante le ottime prove recitative, diventano bidimensionali e vittime di difetti di scrittura.

Escape at Dannemora è una buona miniserie. Un escape prison drama narrato in maniera anticonvenzionale con una storia interessante e sbalorditiva. Ben recitata, soffre maggiormente nella seconda parte. Tuttavia, rimane un buon prodotto. Godibile anche se non arriva mai ad eccellere in modo in particolare. Buona regia e ottimi attori.  Molto riflessiva e distaccata. Lascia ampio spazio allo spettatore di farsi un’idea sulle dinamiche. Imperfetta ma dalla storia interessante.

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