A tre anni di distanza da Split e a quasi venti da Unbreakable, M. Night Shyamalan chiude la sua personalissima trilogia sui supereroi con Glass, che vede infine incontrarsi i “superumani” protagonisti dei due film precedenti. Il luogo dell’incontro è una struttura psichiatrica nella quale David (Bruce Willis), Elijah (Samuel L. Jackson) e Kevin (James McAvoy) vengono rinchiusi e assistiti dalla dottoressa Ellie Staple (Sarah Paulson), che cerca di far credere loro di non possedere in realtà alcun vero superpotere.

Parlare di Glass senza raffrontarlo con i suoi predecessori non è affatto indicato, perché ognuno di essi rappresenta una specifica operazione svolta sul linguaggio dei comics e su ciò che questo ha generato. In Unbreakable Shyamalan aveva voluto svolgere un discorso sulle tematiche e gli artifici propri dei comics, affrontandoli in una maniera spiccatamente metanarrativa. In Split, giunto nelle sale in un’epoca ormai dominata dai cinecomics, ha decostruito la tendenza dei grandi studios a voler collegare tutti i cinefumetti in una serialità sconfinata, utilizzando oltretutto il twist ending tipico dei suoi film in modo brillante e originale.

Glass insinua dubbi su tutto ciò di cui gli spettatori erano stati convinti con la visione dei film precedenti. L’intento della psichiatra Staple di minimizzare le abilità dei protagonisti finisce per essere rivolto anche al pubblico, portato per un attimo ad abbandonare la certezza che i superpoteri siano reali in quell’universo. La prima metà del racconto è specificamente improntata al tentativo di distruggere la componente supereroistica e sembra quasi riuscire nel suo proposito, dato che la fiducia dello stesso David finisce per vacillare. La sequenza della seduta di analisi, alla quale sono presenti tutti e tre i pazienti, è esemplare nel suo lavoro: montaggio e colonna sonora accompagnano con efficacia la performance attoriale di Sarah Paulson, in un bizzarro mix di candore e fredda logica che, pur non potendo riuscire a convincere la totalità degli spettatori, difficilmente non metterà pulci nelle orecchie di chi vi assista.

Tutto ciò accade non a caso nella prima metà di film, durante la quale “Mr. Glass” Elijah è apparentemente sedato e non proferisce parola. In seguito al suo risveglio, pianificato sin dall’inizio, la narrazione svolta del tutto. La sicurezza di Glass e la sua convinzione che i superumani siano reali rimettono in sesto anche le convinzioni degli spettatori dubbiosi, mentre la stazionarietà della trama viene abbattuta dalle nuove pianificazioni del fumettistico villain.

Tramite Elijah, Shyamalan sembra voler sottilmente denigrare i cinecomics dell’attuale decennio: il suo progetto di far scontrare David e Kevin “L’Orda” rassomiglia inevitabilmente quello di Lex Luthor nel famigerato Batman v Superman (2016) di Zack Snyder, anch’esso consistente nel mettere l’uno contro l’altro due possenti eroi. L’edificio avveniristico nei pressi del quale i due vengono spinti ad affrontarsi rimanda a propria volta alla Stark Tower di Tony Stark/Iron Man, personaggio fondamentale dell’universo Marvel in tutte le sue forme mediali. Il tutto si rivela essere però solo uno specchietto per le allodole, dato che le modalità dello scontro non si risolveranno come Elijah le aveva concepite. È come se tutto fosse orchestrato col solo scopo di deludere consapevolmente lo spettatore, in una dissacrante analogia con ciò che si poteva riscontrare nel film di Snyder.

Gli stessi combattimenti tra David e Kevin non hanno nulla di epico, come risulta evidente anche solo dai filmati di repertorio ripresi dalle telecamere dell’ospedale; tutto si riduce a semplici scazzottate che però la regia sapiente di Shyamalan riesce a rendere dinamiche ed avvincenti. Il loro scopo sta nel rendere l’idea di un supereroismo meno “estremo” rispetto a quello presente in un qualunque blockbuster dello stesso filone. L’efficacia dell’azione comunque non ne risente affatto, anzi.

Glass, in un certo senso, presenta due finali. Come i cinecomics hanno reso popolare l’inserimento di una scena dopo i titoli di coda in grado di introdurre eventuali sequel, così Glass termina con un doppio colpo di scena in grado di ribaltare in più aspetti la narrazione. Ognuno di questi due twist ha, non a caso, un aspetto smaccatamente fumettistico, risultante tuttavia molto più incisivo nel primo. Shyamalan vuole infatti raccontare una conclusione degli eventi palesemente disincantata e pessimistica, tendente al realismo; ma sceglie di farlo utilizzando un’idea di repertorio, l’organizzazione segreta con le proprie ricchezze e i propri tatuaggi segreti, che non potrebbe essere più sopra le righe nel contesto del film. Usare il (cine)fumetto per distruggere il (cine)fumetto, con una classe che l’autore non sempre è riuscito ad esprimere al meglio.

Il secondo finale, quello vero, purtroppo smonta in parte la potenza del primo, regalando una vittoria amara ai protagonisti in nome della rassicurazione del pubblico. Rassicurazione che in parte si ritrova anche nel personaggio di Casey (Anya Taylor-Joy), la bambina rapita da Kevin in Split e ora sua unica amica. In un’ambientazione nella quale i superpoteri hanno il sapore di comuni abilità umane portate ad alti livelli, Casey sembra riuscire ad elevare il suo stesso affetto fino a renderlo a propria volta un vero superpotere, con il quale infine riuscirà ad influenzare Kevin in maniera significativa. Simili impianti non minano in ogni caso i punti di forza di Glass, senz’altro una solida conclusione per una trilogia dal valore così notevole.

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