“Chi dubita sa, e sa più che si possa” spiegava il Giacomo Leopardi di Elio Germano alla sorella Paolina. Nel finale del Giovane favoloso, sulla terrazza di Torre del Greco, di fronte a Capri, il poeta enunciava “La ginestra”.  Capri-Revolution ricomincia da lì dove eravamo rimasti: allo scontro tra l’intimo e le sorti dell’uomo e tra l’uomo stesso e la natura.

Siamo nel 1914. A Capri si è formata una comune di nordeuropei che costruisce installazioni artistiche, pratica danze, predica il vegetarianismo, alla ricerca di libertà fisica e spirituale. I partecipanti vengono considerati diavoli dai pastori indigeni, tra i quali i fratelli di Lucia (Marianna Fontana), che però è attratta dalla presenza insolita. Seybu (Reinout Scholten van Aschat), membro di spicco degli stranieri, la porta ad unirsi al gruppo.

Diceva Gilles Deleuze che i cineasti sono più pensatori che artisti, ed è da tempo chiaro quanto questo discorso sia valido per Mario Martone e per la sua co-sceneggiatrice e compagna Ippolita Di Majo. Infatti, i riferimenti culturali di Capri-Revolution sono numerosi e di spessore. Primo fra tutti, quello all’artista tedesco Karl Wilhelm Diefenbach, vissuto a Capri, dove morì nel 1913, al quale il personaggio di Seybu è ispirato. I momenti di arte performativa, invece, sono ispirati all’opera di Joseph Beuys (del quale Seybu è anagramma), così come le meravigliose scene di ballo ricordano Pina Bausch e Rudolph Laban. Ci sono Gurdjeff e il minimalismo di Glass nelle musiche elettroniche e ripetitive di Apparat. Ogni situazione, poi, richiama Leopardi, soprattutto nel senso panico che i paesaggi dell’isola provocano ai protagonisti, come la continua ricerca di senso e verità (si potrebbero pensare agli ultimi tre film di Martone come a una “trilogia leopardiana”).

Capri-Revolution è anche un film profondamente politico. La frase di Leopardi all’inizio della recensione è esplicativa: affrontare idee diverse dalle proprie, porsi sempre in discussione, accettare la dialettica, è l’invito di Martone. Non solo: la pellicola vede l’arte e la vita come flussi, movimenti, da contrapporre all’irrigidimento dei luoghi e dei pensieri, che siano quelli dei fratelli della protagonista nel 1914, o che siano quelli delle forze politiche oggi. Lucia è un personaggio straordinario proprio per la capacità di superare la dicotomia della sua storia, quella tra la sua famiglia e la comune, per incamminarsi su una strada del tutto personale, in una svolta di sceneggiatura geniale.

Il movimento di corpi e di idee, in Capri-Revolution, ha anche un’essenza profondamente cinematografica. Tornando a Deleuze, per il filosofo francese “l’immagine cinematografica non riceve a posteriori la possibilità del movimento, ma la possiede come suo originario statuto ontologico” (Dizionario del cinema Treccani, 2003). E Martone sfrutta al meglio questa sua natura.  L’uso di effetti speciali, raffrontato a momenti dove l’immagine ricorda il super 8, quindi contemporaneità e archeologia del cinema, crea anche dal punto di vista formale quei confronti dialettici ricercati per tutto il film. Le spettacolari panoramiche di Capri, le rimembranze di Antonioni, ci riportano al fatto che Martone è ben conscio di utilizzare una macchina da presa, e non una penna, per raccontare questa storia.

In tutto questo complesso apparato intertestuale e teorico, c’è spazio anche per grande emozione. Essa nasce non solo dalla potenza iconica, ma dallo sviluppo narrativo. Il film stimola la testa, ma arriva al cuore: belle sono le scelte dei personaggi, i loro rapporti, potenti sono le interpretazioni (forse l’unica poco convincente, troppo rigida, è quella del dottore, personaggio fondamentale nei contrasti della storia, intrepretato da Antonio Folletto).

Il film comincia con una citazione di Fabrizia Ramondino sull’isola di Capri: “Sempre diverso è il profilo che ciascuno ne coglie. In questo mondo troppo conosciuto è l’unico luogo ancora vergine”. Martone mostra un luogo semi-sconosciuto, dove le idee si sono scontrate, confuse, creando fascino, rabbia e dolore. Ma quel luogo non è Capri, non è l’Italia del 1914. Quel luogo è stato ed è l’essere umano nella sua ricerca di uno spazio nel mondo.

Federico Cadalanu

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