Uno di tre

C’è un filo di nostalgia dolce-amara che ha attraversato gli appuntamenti festivalieri dell’estate e che caratterizzerà i premi del cinema, quest’anno. Tre dei migliori titoli del 2018 portano in sala l’incontro tra vita personale e ricostruzione storica efficace. L’estate dolce e rivoluzionaria di Leto del genio russo Serebrennikov. Segue Roma di Alfonso Cuarón, il ritratto pulito e abbacinante di una infanzia messicana e della vita di due donne, sole eppure unite, in un cruciale passaggio della loro vita. E poi c’è Cold War.

Diretto da Pawel Pawlikowski, Cold War è la storia di un disgelo lungo una vita. Anzi due, quelle dei due protagonisti. Vite che si incontrano per i motivi sbagliati. Vite intrecciate e poi separate dagli errori stupidi dell’amore geloso. Ma vite che troveranno sempre il modo di tornare l’una verso l’altra.

Il film si apre su una Polonia innevata e quieta, dove i rumori della guerra finita da pochi anni sono ormai lontani, sostituiti dalle melodie malinconiche dei canti popolari polacchi. È un paese in disperata ricerca della propria identità folkloristica quello che Wiktor (Tomasz Kot), musicista e compositore, percorre su un furgoncino con la collega danzatrice e un rappresentante del governo. L’obiettivo è raggruppare talenti canori presi tra la gente comune, per formare una compagnia che faccia da portabandiera dei valori e della tradizione del popolo polacco. Dal gruppo emerge la voce di velluto di Zula (Joanna Kulig), ragazza intrigante ma dal passato scomodo, che cattura subito il cuore di Wiktor.

L’amore ai tempi della Cortina di Ferro

Contro lo sfondo della rinascita comunista della Polonia, il film si articola in una serie di vedute dell’amore appassionato tra Wiktor e Zula, con un montaggio che gioca di sottrazione, e asciuga il racconto restituendoci un distillato delle vicende che li coinvolgono. Il film si riempie di momenti sonori sontuosi e ricchi – gli spettacoli della compagnia, le feste danzanti che seguono – per passare poi bruscamente ai silenzi di una stanza vuota, o ai sospiri lievi di due amanti appartati nello spazio angusto di una toilette. Un moto oscillatorio che fa da specchio al succedersi di alti e bassi vertiginosi nella storia d’amore dei due protagonisti.

Pawlikowski ci accompagna in questo carosello di passioni e amore per la musica dalla Polonia rurale alle luci di Parigi, oltre la cortina di ferro. Girato in 4:3 e con un bianco e nero quasi tattile, Cold War restituisce quadri elegantemente composti, con soluzioni visive che richiamano allo sguardo dei primi impressionisti sul brulicare della nuova vita moderna (si veda una sublime inquadratura dove il protagonista è appoggiato ad un enorme specchio affollato di gente, che riempie l’intero quadro).

Voci dal passato

Ispirandosi alla vera storia dell’incontro tra i suoi genitori, Pawlikowski fa di Cold War una visione portatrice al tempo stesso di eleganza ed estrema semplicità della tensione amorosa tra due individui in conflitto con sé stessi e la propria patria.

Il film (premiato per la miglior regia a Cannes) dura appena un’ora e mezza, nella quale si è immersi in una sonorità che non abbandona nemmeno dopo aver lasciato la sala. La voce di Zula resta con lo spettatore ben oltre il tempo del film, è una promessa.

Cold War di Pawel Pawlikowski sarà nelle sale italiane dal 20 dicembre. Consiglio a tutti di vederlo.

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata