Non aspettatevi il classico della Disney. Il film di Andy Serkis è tutta un’altra cosa.
I’m the jungle’s eyes. I can see the past and the future. It is I, Kaa who witnessed the coming of man and the jungle trying to survive.
Uscito il 7 dicembre sulla piattaforma Netflix, Mowgli – il figlio della giungla s’inserisce in maniera del tutto particolare all’interno di quel festival dei revival di classici disneyani che, ultimamente, sta invadendo il mondo del cinema, una tendenza che pare essere ben lontana dalla fine.
Forse perché, in effetti, la pellicola non è affatto un prodotto disneyano. Intanto perché la casa di produzione è la Warner Bros. E poi perché più che al classico Disney degli anni 60, la pellicola prende direttamente ispirazione dal classico di Rudyard Kipling.
Si può dire, in effetti, che al momento ne è la trasposizione cinematografica più fedele.
Come ogni classico Disney che si rispetti, infatti, anche il Libro della Giungla de 1967 prendeva solo una parte del romanzo originario e lo rielaborava per renderlo più accessibile al target di bambini a cui si rivolgeva.
Il romanzo originario (che in realtà è una raccolta di racconti di cui la storia di Mowgli è solo il primo racconto) di Rudyard Kipling era molto più dark e in linea con quei racconti di formazione in cui l’eroe, a seguito di un percorso di formazione duro, e spesso pieno di pericoli mortali, di tradizione ottocentesca, traslato con una morale di origine induista date le origini indiane dell’autore.
I personaggi sono tutti quelli già noti: Mowgli (Rohan Chand), il protagonista, figlio degli uomini i cui genitori sono stati uccisi dalla tigre Shere Khan (Benedict Cumberbatch); la pantera Bagheera (Christian Bale) che lo salva e lo fa adottare dai lupi della foresta; l’orso Baloo (Andy Serkis) che gli insegna le leggi della giungla e lo prepara allo scontro finale con la tigre, la quale ha giurato di ucciderlo in quanto odia gli esseri umani.
I caratteri e i ruoli nella storia però sono fortemente cambiati, in particolare l’orso Baloo non è più il simpatico orso allegrone e spensierato del film Disney ma è più una specie di “sergente Hartman” che addestra i giovani lupi a superare le avversità del luogo in cui si trovano a vivere, un luogo veramente inospitale e pericoloso.
Anche le psicologie degli altri personaggi si fanno molto più complesse e sfaccettate e il branco dei lupi viene approfondito molto di più di quanto la pellicola Disney facesse.
Risulta singolare il fatto che il film sia uscito a pochi anni di distanza (appena 2) dal remake live-action di Jon Favreau. Il quale, pur cambiando e riaggiornando i temi del classico Disney ne era a tutti gli effetti un vero e proprio remake e ne manteneva la struttura. Il suddetto film è stato inoltre elogiato per i suoi effetti speciali che mischiavano live.action ed effetti in CGI (candidato nella categoria Miglior effetti speciali all’edizione degli Oscar 2016, ndA).
Quasi come una sorta di sfida (forse perché film di una casa di produzione che è diretta concorrente) Andy Serkis alza ulteriormente il tiro sfornando un film che, in quanto ad effetti speciali, non ha nulla da invidiare al film di Favreau.
In particolare, con l’aggiunta della motion capture (tecnica di cui Serkis è maestro) le espressioni facciali e i movimenti degli animali acquistano una fluidità e un gamma espressiva veramente notevole, divenendo forse più umanizzati ma comunque molto realistici.
A un comparto tecnico del genere non poteva dunque che legarsi una storia che si rivolgesse a un target molto più elevato (il film tra l’altro è stato vietato ai minori i 13 anni alla sua uscita negli USA, ndA), forse anche per differenziarsi maggiormente dal classico Disney.
Il risultato è una storia di formazione veramente completa e definita, con un’incursione anche nel mondo degli umani dove le interpretazioni degli attori in carne e ossa (su tutti Matthew Rhys e Freida Pinto) non hanno nulla da invidiare a quelle con effetti speciali.
L’unione di tutti questi elementi in un unica pellicola rende Mowgli – il figlio della giungla un film veramente completo e con una morale per nulla scontata.
Le tradizioni folkloristiche indiane fanno da sfondo alle scene del villaggio degli uomini in maniera quasi documentaristica. In generale è l’ambiente è un vero e proprio co-protagonista del film e il messaggio che lascia la pellicola alla fine è un messaggio ecologista che invita alla co-esistenza di tutti gli esseri viventi del pianeta.
Continuamente viene ribadito (già dal titolo) il soprannome di Mowgli (figlio della giungla) insistendo sulla sua doppia natura di uomo e lupo. Sarà proprio questa sua doppia caratteristica del personaggio (all’inizio motivo di esilio da entrambe le parti) a risolvere i contrasti tra questi due mondi.
Il percorso di formazione di Mowgli, quindi, rappresenta in fondo una vera e proprio presa di coscienza della sua identità, con la quale ri-disegnerà il proprio destino e quello del suo “branco”.
Mowgli- il libro della giungla è un’avventura e un viaggio emozionante ed educativo allo stesso tempo, un omaggio a Kipling e alla filosofia indiana, ma soprattutto alla giungla indiana e alle sue atmosfere magiche e inquietanti.
Tradendo il classico Disney, il regista Andy Serkis riesce a rivelare la vera natura del romanzo a cui è ispirato.
Non mancano le scene che rimarcano il loro puro “effetto wow” ma anche queste riescono a non essere troppo esuberanti e a rimanere coerenti con la trama generale (cosa di cui il film di Favreau faceva ampio uso… anche troppo!).
Un ottima occasione per ri-scoprire un grande classico della letteratura, perdendosi nei segreti della giungla misteriosa. Allo stesso tempo può essere anche un bel film da vedere con la famiglia (non con bambini troppo piccoli però) soprattutto nel prossimo periodo natalizio.
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