Non ci resta che vincere (Campeones) è un lungometraggio spagnolo incentrato sulle disabilità. Si tratta di un’avventura sportiva in grado di mettere in luce con efficacia la tematica della diversità e delle disfunzioni. Una storia autoironica incentrata sul mondo del basket che serve per evidenziare questa importante tematica.
La pellicola è la candidata spagnola agli Oscar 2019 ed è diretta da Javier Ferrer. In madrepatria, la pellicola è stata campione di incassi. Il merito va ad una storia toccante e riflessiva. Gli attori disabili sono molto bravi e ognuno di loro è memorabile. A livello narrativo, le loro disabilità vengono utilizzate in chiave ironica per far ridere e far emergere che nonostante la sofferenza e la “Non-capacità”, alla base di tutto c’è sempre la volontà e la passione.
Il film è molto divertente e intelligente. La storia ha una costruzione narrativa classica, molto semplice, dove il protagonista vive un percorso di crescita personale ed evolve nel corso della storia. Marco Montes è un frustrato allenatore in seconda di una nota squadra di pallacanestro che a causa dei suoi modi irrispettosi e irruenti si ritrova senza un lavoro. Come se non bastasse, a causa di “due bicchierini in corpo” si ritrova coinvolto in un incidente automobilistico che coinvolge la polizia. A questo di suo comportamento scorretto viene costretto a pagare la sua condanna attraverso tre mesi di lavoro socialmente utile. Vista la sua bravura e il suo curriculum di allenatore professionista, Montes viene assunto come primo allenatore di una squadra di pallacanestro per disabili. Infastidito di dover insegnare lo sport a dei “mongoloidi” incapaci e senza basi, di primi acchito rifiuta ma, costretto dalla legge, inizia un percorso educativo portando la squadra a giocare la finale del campionato nazionale disabili.
Il lungometraggio è molto ironico e divertente. Fa riflettere sulla disabilità con il sorriso e offre numerosi spunti di riflessione. La spinosa domanda è: Che cosa significa essere normali? Ogni essere umano ha le proprie manie e momenti di “anormalità” quindi tutti noi siamo afflitti da qualche disabilità. Chi più, chi meno. I ragazzi entrano del cuore dell’allenatore e proprio lui capisce che nonostante la sua “normalità”, in realtà ha dei problemi. In particolare emotivi e non riesce a relazionarsi efficacemente con la donna che ama.
Il plot gioca sui generi. Nonostante il film parli di disabilità e di sotto-trame altamente drammatiche, il genere predominante è la commedia. Una commedia politamente scorretta che gioca sull’ironia e sulla presa in giro per inculcare il modo corretto determinati valori. L’autoironia, il non prendersi sul serio per dimenticarsi dei problemi. Non importa vincere ma partecipare, divertisti e giocare tutti insieme. Il tono della pellicola è vincente e presenta delle scene molto divertenti e indimenticabili.
Non ci resta che vincere utilizza una metafora sportiva per raccontare l’emancipazione e l’evoluzione di un reticente e razzista protagonista verso la disabilità intellettiva. Inoltre, il lungometraggio è promotore del messaggio “non ci sono limiti se siamo insieme”. L’unione fa la forza e dove ogni persona possiede dei limiti ma che, con l’ausilio dei propri compagni, si riesce a superare ogni ostacolo. Per questo motivo, il dramma sportivo è più che efficace per rafforzare quei valori. Proprio lo sport, visto il gioco di squadra è perfetto per l’emancipazione. Un film interessante, ben girato, e con una storia e personaggi indimenticabili. Un ottimo prodotto filmico in grado di coniugare valore sociale e buon cinema senza venire a compromessi in ambedue le parti.
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