Quella del piccolo Kun è la classica famigliola felice, composta da due genitori giovani e amorevoli e un cagnolino di nome Yukko. Ma per il bambino cambia tutto quando nasce la sorellina Mirai, perché tutte le attenzioni che fino a quel momento erano state una sua esclusiva si riversano su di lei, e la gelosia, come spesso succede in questi casi, prende il sopravvento.
A partire da una vicenda comune e ordinaria, che si focalizza su un momento che prima o poi tutti i fratelli maggiori hanno affrontato, Mirai del talentuoso Mamoru Hosoda racconta un viaggio fantastico e travolgente attraverso le pieghe del tempo e dello spazio, durante il quale Kun inizierà a conoscere i membri della sua famiglia in diverse epoche, come sua madre alla sua età o il suo bisnonno da giovane. Dal giardino della sua casa, infatti, si crea una sorta di dimensione parallela, dove Kun, oltretutto, può interfacciarsi con Yakko, in sembianze umane, e con la stessa Mirai, in versione adolescente in uniforme scolastica, la quale si rivelerà a tutti gli effetti una guida materiale e spirituale. Non poteva essere altrimenti, dato che il nome Mirai significa, per l’appunto, “futuro”. Grazie alle mille stranissime avventure che affronterà, Kun si renderà conto di cosa voglia dire diventare un fratello maggiore e del valore che una sorellina possa avere nel suo percorso di crescita e nel ménage familiare.
L’ultimo lavoro d’animazione di Hosoda e del suo Studio Chizu – che è stato presentato fuori concorso a Cannes per la Quinzaine des réalisateur – si concentra ancora una volta sulle dinamiche familiari dalla prospettiva del singolo membro, proseguendo una sorta di discorso autoriale ben definito iniziato con Wolf Children e The Boy and the Beast. Il film, allo stesso tempo, porta con sé inevitabilmente l’insegnamento del maestro Hayao Miyazaki, secondo il quale il contatto con il sovrannaturale è privilegio dell’infanzia, quando ancora si è disposti a credere nella magia e si è in grado di apprendere con spontaneità. Non è un caso, infatti, che la dimensione “favolistica” si generi nel momento in cui Kun fa i capricci, come se il Cosmo volesse trasmettergli di volta in volta un messaggio da recepire attraverso un’esperienza diretta, generata dalla sua stessa capacità di immaginare.
Quella di Hosoda è una riflessione commovente e profonda sulle proprie radici e sulla straordinaria normalità di ogni famiglia, dove, come dice Mirai, «sono le piccole cose che ci rendono ciò che siamo ora». C’è da dire però che, sebbene sia un film pensato sia per i più grandi che per i più piccini, Mirai rischia di non essere goduto appieno da nessuna delle due fasce d’età, poiché, nonostante la vivacità delle vicende e la magnetica meraviglia delle animazioni, rivela un intento moralizzante un po’ troppo pedante e pretestuoso per un bambino, nonché delle lungaggini alquanto stucchevoli per un adulto.
Ci si augura che da uno dei più fantasiosi e originali esponenti dell’animazione giapponese contemporanea si possa in futuro apprezzare un cambio di rotta o un azzardo in più.
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