Jaume Balaguerò, ormai celebre tra gli appassionati di horror per la saga di REC, ideata assieme a Paco Plaza, si è sempre dimostrato un regista in grado di creare storie coinvolgenti e ricche di inquietudine con una grande varietà di soggetti. Nel suo film più recente, La settima musa, sceglie come ambiente l’Irlanda e come tema portante l’arte letteraria. Samuel (Elliot Cowan), professore universitario di letteratura, dopo la morte della studentessa con la quale aveva una relazione inizia a fare degli incubi riguardanti l’omicidio di una donna a lui sconosciuta. Quando quest’ultima infine viene davvero uccisa, Samuel incontra Rachel (Ana Ularu), una ragazza che afferma di aver avuto i suoi stessi incubi. I due cercheranno quindi di scoprire l’identità della donna misteriosa e le pianificazioni dietro il suo omicidio.
La settima musa è uno dei film nei quali Balaguerò sfrutta più a fondo l’elemento fantastico, inserendolo stavolta in una trama da thriller investigativo. L’operazione che svolge raccontando la sua storia è il ribaltamento totale della figura della musa. Eredità della Grecia antica, le Muse sono note a chiunque per il loro essere divine ispiratrici delle arti, ognuna delle quali simboleggiate da una dea specifica. Nel film invece ricordano piuttosto una congrega di streghe, che anziché influenzare gli umani per permettere la creazione artistica, usano la creazione artistica per influenzare (fisicamente) gli umani. La varietà degli aspetti dell’arte è rispecchiata dalla varietà di aspetto delle muse, rappresentate come donne di tutte le età. Il loro lato oscuro, simboleggiato dagli appellativi inquietanti che si portano dietro (da “Colei Che Punisce” a “Colei Che Mente”), si manifesta in una serie di regole insindacabili e dalla severità con cui puniscono chi non le rispetta.
Grazie agli interpreti, tutti perfettamente funzionali ai loro ruoli (nel cast rientrano anche Franka Potente, Joanne Whalley e Christopher Lloyd), e alla regia di Balaguerò, sempre pulita e scorrevole, la storia si dipana con il giusto ritmo fino al finale, caratterizzato da continua tensione e colpi di scena, nonché rimandi al passato; un passato che tormenta sia Samuel che Rachel, e che deve essere affrontato per poter continuare a vivere, a qualunque prezzo.
D’altro canto lo stesso finale ci mostra anche tutta la crudele ironia che caratterizza il film. L’attività di scrittore di Samuel è ostacolata da una crisi creativa, lo si nota fin dall’inizio; se la trama fosse stata ambientata ai tempi del mito, le Muse avrebbero sicuramente dato al suo eroe l’ispirazione per proseguire il proprio lavoro. Qui invece, le idee che gli permetteranno di terminare la propria opera giungeranno solo come conseguenza di tutte le battaglie portate avanti contro le muse/streghe, con i relativi tragici eventi; l’ispirazione in questo caso non viene concessa, ma è conquistata con la forza e le lacrime. È questo il ribaltamento più sottile e subdolo messo in atto da La settima musa, che rimanda allo splendido Il ladro di orchidee di Spike Jonze e ci ricorda che la cinematografia spagnola vanta un cinema di genere sempre in grado di produrre film interessanti.
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