Parte dall’8 luglio 2018 la prima edizione del Festival degli Dei, il primo festival cinematografico italiano “itinerante”.
Un vero e proprio percorso on the road in cui, seguendo le varie tappe della Via degli Dei (uno dei più famosi sentieri escursionistici italiani che collega Bologna a Firenze attraverso l’Appennino Tosco-Emiliano) ogni serata presenta una proiezione diversa in ciascuno dei comuni che vengono percorsi (Bologna, Sasso Marconi, Monzuno, Monghidoro, San Benedetto Val di Sambro, Fiorenzuola, Barberino di Mugello, Scarperia e San Piero).
Si tratta di un progetto suggestivo e molto complesso, un modo come un altro per valorizzare ancora di più il paesaggio particolare degli appennini e spingere gli spettatori a viaggiare.
Ed è proprio il viaggio il tema principale di questa prima edizione del festival, che andrà avanti per altrettante tappe con un film diverso ogni sera.
Lo stesso film che ha inaugurato il Festival presso il cinema Odeon di Bologna non poteva che essere più emblematico: Agadah del regista Alberto Rondalli, è un particolare road movie storico, ambientato nel territorio dell’Altopiano delle Murge, all’epoca della dominazione borbonica.
Partendo dal romanzo ottocentesco Manoscritto trovato a Saragozza dello scrittore polacco Jan Potocki, il regista mette in scena un singolare viaggio tra realtà, fiaba e credenze esoteriche. Il capitano delle guardie vallone, Alfonso Van Worden, riceve l’ordine di recarsi a Napoli presso il re Carlo di Borbone. Per farlo deve attraversare un territorio aspro e desolato di cui si narrano molte leggende, quasi tutte macabre. Nonostante il parere contrario del fido servitore Lopez, Alfonso è deciso ad attraversare proprio quella strada. Nel cammino si perderà e troverà riparo in una strana locanda dove due sorelle musulamne compiono strani riti.
Da qui comincerà poi un vero e proprio cammino iniziatico della durata di dieci giorni in cui Alfonso incontrerà ogni volta un personaggio con una storia alle spalle che nasconde significati particolari, tutti quanti legati alla qabbala e alla Massoneria (di cui l’autore del romanzo faceva parte).
Si fa veramente fatica a restringere Agadah in un genere particolare. Come già detto, la pellicola è un po’ road movie, un po’ film storico e fantasy, ma anche storia di formazione e amore con tratti horror e fiabeschi. Un’enorma “matrioska di generi”, come definita dallo stesso autore e regista (presente all’inaugurazione del Festival) che racchiude alterettante storie ad incastro solo parzialmente legate l’una all’altra.
Certamente non deve essere stato facile trasporre sul grande schermo un’opera letteraria come quella di Potocki, già molto complessa di per sé (forse più del film stesso) e per questo va lodata l’iniziativa di Rondalli e il suo coraggio nel riporporre un genere di film (avventuroso e storico) ingiustamente poco praticato nel nostro paese, dal momento che non mancherebbero né i paesaggi fantastici nè le maestranze artistiche e di effetti speciali (già dimostrato da Matteo Garrone con il suo Racconto dei racconti). A tal proposito è bene citare Francesco Bronzi, autore delle scenografie, il quale è stato candidato ai David di Donatello proprio per questo film, e Nicoletta Taranta, autrice dei costumi, vincitrice degli ultimi Nastri D’Argento.
Il film è costruito visivamente in maniera impeccabile, come un enorme quadro neoclassico (anche se alcune sequenze sono impregnate di un gusto molto gotico e dark) e con numerosi omaggi cinematografici (Shining di Kubrick) e pittorici (i quadri di Escher) i quali si mescolano ai significati esoterici della storia. Una scelta azzeccata che riesce ada dattare al meglio per il medium l’aspetto misterico della narrazione. A questo si aggiungono le magistrali interpretazioni degli interpreti. n cast internazionale in cui, oltre ai numerosi attori italiani (Caterina Murino, Alessio Boni e Umberto Orsini fra gli altri) sono presenti anche numerosi interpreti stranieri (come il protagonista, interpretato da Nahuel Pérez Biscayat) che impreziosiscono il film con un linguaggio misto di italiano e spagnolo, un bilinguismo non comune nella cinematografia italiana, che meriterebbe di essere valorizzato in altre pellicole.
A parte questi pregi, la pellicola non è esente da difetti, tra cui un difetto di struttura generale delle storie raccontate che rallentano molto il racconto, a volte perdendosi nei propri meandri al punto da sembrare troppo framemntato e ripetitivo.
Si tratta di un viaggio certamente non facile in cui bisogna accettare il fatto di doversi perdere in esso, senza per forza trovare una logica precisa, esattamente come accetta di fare il protagonista del racconto.
Mentre duqnue il Festival degli Dei prosegue il suo viaggio a tappe (l’ultimo appuntamento è prevista per il 15 luglio a Scarperia e San Piero) Agadah prosegue il suo personale percorso, probabilmente infinito, in cui lo spettatore è esso stesso parte attiva del racconto, in quanto ha il difficile compto di riordinare quanto la narrazione lascia di frammentato nel suo percorso, come tutte le pelliclle che hanno molti significati al loro interno, e non basta una vita per raccoglierli tutti.
Un “viaggio” particolare per un film altrettanto particolare, quaisun unicum nel cinema italiano contemporaneo.
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