Francesco Filippi, per quanto possa non essere ancora conosciutissimo presso il grande pubblico, è un talentuoso autore che ha realizzato numerosi corti, sia live action che d’animazione. Il progetto al quale sta attualmente lavorando è Mani rosse, un mediometraggio realizzato per la maggior parte tramite stop-motion (con una parte di animazione 2D). L’utilizzo di questa tecnica è abbastanza raro nel panorama italiano, per i costi elevati e il molto tempo del quale necessita. Filippi si destreggia tra la lavorazione di Mani rosse e le varie altre attività professionali che svolge nel settore, tra cui ovviamente i laboratori di animazione. Lo incontro all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove ha tenuto proprio uno di questi workshop, patrocinato dal Future Film Festival. Ha appena terminato la sua lezione sulla stop-motion, e come ogni buon insegnante sta conversando con gli studenti dopo la lezione: loro pieni di domande, lui sempre disponibile a rispondere. Per rispetto verso i frequentanti, attendo una decina di minuti che essi lascino l’aula e solo allora inizia l’intervista.
Iniziamo con le domande di rito: cosa puoi dirci di te e del tuo percorso nell’animazione?
Il mio percorso è forse un po’ anomalo nel panorama italiano. Vengo da una formazione umanistica: liceo classico e laurea in scienze dell’educazione, e solo dopo ho deciso di fare cartoni animati, perciò a quel punto ho dovuto ricominciare da capo. All’epoca non c’erano scuole adatte, anche il Centro sperimentale non era aperto e comunque non avrebbe accettato persone che non sapessero disegnare. Quindi, visto che comunque mi interessava di più raccontare storie, ho frequentato corsi di sceneggiatura, mentre tutto ciò che riguarda l’animazione e la regia ho dovuto impararlo da solo, con manuali e studio di film e cartoni animati che mi piacevano particolarmente. Negli anni ho fatto anche attività di giornalismo e scrittura su riviste specializzate. C’è stato uno studio personale e appassionato di tanti autori e tanti film, e ho poi imparato anche facendo; ho avuto l’idea di fare questo mestiere quando, nel 1998, ero tirocinante osservativo a Torino durante la lavorazione di La gabbianella e il gatto. Lì ho detto: “Mi piace questo mestiere, vorrei farlo anch’io”.
A quel punto ho cominciato gli studi di cui ti dicevo, ma ho anche iniziato a coinvolgere dei disegnatori per realizzare dei progetti, in particolare trailer per dei potenziali lungometraggi. Speravo di poter trovare una continuità lavorativa con un progetto che potesse vincere un premio ed entrare in produzione. Con Back to Eptar abbiamo anche vinto il concorso Pitch Me! della Rai nel 2002; il film alla fine non è stato prodotto, ma qualcuno ha notato il mio progetto e questo mi ha consentito di iniziare a lavorare su commissione, sia come autore individuale sia al servizio di altri progetti. Nel 2004 ad esempio ho lavorato a Winx 2 come supervisore alle sceneggiature, ma nel frattempo continuavo ad investire su progetti personali. A un certo punto ho capito che per essere conosciuto come autore avevo bisogno di cortometraggi che iniziassero e finissero, e possibilmente anche di premi. Perciò nel 2008 ho iniziato a fare cortometraggi veri e propri, sia con attori che in animazione 2D, e ho anche realizzato su commissione tre videoclip per lo Zecchino d’Oro. Con Gamba Trista nel 2010 ho vinto una borsa di studio grazie alla quale ho girato un corto live action a New York [Memorial, del 2013: n.d.a.].
Sempre nel 2010 ho iniziato a lavorare a Mani rosse, prima da solo e poi con l’aiuto di Michele Fasaro di Sattva Films e, dopo otto anni, questo autunno lo faremo uscire come mediometraggio, girato per due terzi con i pupazzi e per un terzo con animazione 2D. Per quanto riguarda il target, si differenzierà dagli altri prodotti di animazione italiani essendo pensato per gli adolescenti, target ritenuto difficile dalle produzioni. Sarà abbastanza singolare in Italia, dato che è riuscito a mettere insieme fonti di finanziamento molto diverse: Rai, regioni, ministero [dei beni e delle attività culturali e del turismo: n.d.a] e Unione Europea prima di tutti, ma anche il crowdfunding. Una convergenza di risorse del genere è molto meno coordinata e facilmente raggiungibile in Italia che all’estero, dove è considerata più nella norma; in questo senso il mio produttore ha fatto davvero un ottimo lavoro. Vediamo ora cosa succederà.
Cosa ti ha ispirato di più nella realizzazione di Mani rosse?
Uno spunto iniziale legato al tema, che è la violenza sui minori, è stato un episodio di cronaca che ha coinvolto un ragazzo che conoscevo all’epoca; quella che ai tempi era la sua fidanzatina a un certo punto gli si presentò a casa con dei lividi addosso, perché suo padre la picchiava. Ovviamente a questo ho aggiunto l’elemento di realismo magico, o fantastico, delle “mani rosse”. Infatti la protagonista, a causa delle violenze subite, si ritrova con questo misterioso potere di emettere dalle mani un liquido rosso che sembra sangue; non lo è, ma chiaramente lo rappresenta. La ragazzina riuscirà a trasformare la violenza che ha ricevuto in talento.
Per quanto riguarda lo stile, mi sono ispirato a quello che considero il mio maestro, Osamu Dezaki, il regista di Lady Oscar, Remì, Black Jack, Rocky Joe… quello che più di altri ha portato ai massimi livelli il linguaggio espressionista tipico dell’animazione giapponese. In particolare ha ripreso le logiche del cinema espressionista tedesco degli anni Venti, trasformandolo in una versione animata, a colori e sonora. Lungi dal paragonarmi a cotanto maestro, ma fin dall’università ho sempre studiato a menadito i suoi lavori e ho capito che se Dezaki faceva funzionare un simile approccio espressivo anche nelle storie drammatiche, anch’io avrei potuto utilizzarlo; semplicemente l’ho applicato alla stop-motion, forse per la prima volta in realtà. Non mi sono inventato niente però, è tutta farina di sua maestà Dezaki (ride).
Negli ultimi anni il panorama dei film di animazione si è ampliato e diversificato sempre più: quali sono gli studi di animazione che preferisci tra quelli in attività?
Difficilissima domanda… bisogna intanto capire se sono degli studi con una precisa linea editoriale. Sul fronte americano, se devo scegliere, scelgo Pixar, perché hanno l’idea di esplorare mondi; le loro sono storie originali per lo più, e sono storie in cui si esplorano mondi nuovi. Sono passati dai giocattoli al mondo sott’acqua, alle automobili, al cervello, ai dinosauri… hanno la capacità di trasportarci in mondi, con una maestria in stato dell’arte dal punto di vista tecnico.
Per l’Oriente, che alla fine è la patria dei miei autori preferiti, non posso ovviamente non apprezzare e adorare i prodotti dello Studio Ghibli; in generale però sono legato più ai singoli autori che agli studi, perché l’influenza maggiore l’ho avuta dai primi, come Dezaki, Morimoto, Kon, Oshii… ecco, un altro studio giapponese interessante è Production I.G., per cui ha lavorato anche Oshii. Però mentre il Ghibli ha una linea editoriale ben precisa, gli altri autori come Dezaki e Kon, pur avendo magari i loro studi di riferimento, facevano la differenza più di questi ultimi.
Ci sono poi altri studi che mi interessano per degli aspetti particolari, come Aardman per l’umorismo, e Laika che è lo stato dell’arte per quanto riguarda il livello tecnico della stop-motion, anche se magari ha certi punti deboli che altri studi non hanno; in sostanza, ogni studio ha la propria linea. Per quanto riguarda i francesi, senza nominare studi particolari, posso dirti che sono molto bravi nel design: è difficilissimo che abbiano un design banale, ma possono essere più scollati dalla storia. Loro venerano il design come un dio, quindi in suo nome magari trascurano altre cose. Ogni paese ha la propria tradizione culturale, le proprie specificità, i punti di forza e quelli di debolezza… in definitiva resto più legato agli autori che agli studi.
Ci sono dei giovani registi di animazione ai quali guardi con interesse? Se sì, quali sono?
Devo dire che sono un po’ fuori dal mondo negli ultimi anni, perché per finire la lavorazione di Mani rosse sono due o tre anni che non vado ai festival e sto un po’ perdendo il polso della situazione (ride). Per l’Italia, sono curioso di vedere cosa succede a Napoli; mi sembra che a Napoli, quindi sto ovviamente parlando di Mad Entertainment, ci sia una realtà molto vivace e attenta a dare spazio anche a giovani autori, come il mio quasi omonimo Francesco Filippini. È quello che avrei voluto accadesse a me quando avevo vent’anni e di cui non ho potuto beneficiare, perché non c’era all’epoca una realtà come la Mad Entertainment, aperta anche a proposte giovani. Ma soprattutto alla Mad c’è anche un’alta qualità grafica, e la voglia di raccontare storie e farlo bene.
Ovviamente, dal punto di vista anagrafico e da quello imprenditoriale, è uno studio all’inizio del suo percorso, e come per tutti gli studi agli esordi è ancora difficile uscire con il capolavoro assoluto. Anche Miyazaki, per dire, non ha fatto tremare il cielo e la terra coi suoi primi lavori: anche lui è cresciuto nel tempo, e solo dopo essersi fatto le ossa ha creato dei capolavori. Penso che Napoli sia una realtà da tenere d’occhio, perché adesso è lanciata, e se saprà cogliere questo slancio con saggezza e saprà aprirsi alle risorse che arriveranno, potrà fare grandi cose.
Tra le proiezioni del Future Film Festival quest’anno c’era anche Insects, il nuovo film di Jan Svankmayer, che il regista ha dichiarato essere il suo ultimo lungometraggio. Quanto sei stato influenzato dal lavoro di Svankmayer nella stop-motion?
Ovviamente non ho ancora visto il film dato che ero qui in laboratorio (ride). Conosco Svankmayer e lo ammiro assolutamente; non direi che è tra gli autori che mi hanno influenzato in modo diretto, ma di certo mi ha aperto l’orizzonte della stop-motion. Penso ai suoi dialoghi silenziosi, particolari, e all’utilizzo che fa della plastilina e dei materiali… è qualcosa che effettivamente ti apre la mente. La stop-motion non è banalmente “fare film coi pupazzi”; in realtà è “fare film con qualsiasi cosa tu possa avere”. Puoi costruirti pupazzi, ma puoi usare anche gli oggetti, anche in un modo diverso da quello in cui normalmente sono usati. Una sedia ad esempio può non limitarsi, anzi non dovrebbe limitarsi, ad essere una sedia, ma diventare qualcos’altro. Questa capacità della stop-motion di reinventare l’uso degli oggetti è molto divertente, ma è anche un bellissimo insegnamento, sia per chi la fa che per chi la vede, perché apre degli orizzonti; ti abitua a non dare per scontato quello che hai davanti agli occhi.
Il tuo lavoro è indirizzato principalmente ad un pubblico di ragazzi. Ti piacerebbe lavorare anche a produzioni dal target un po’ più “adulto”?
Il mio target ideale tendenzialmente sono gli adolescenti. Diciamo però che non sono uno di quelli che si attaccano al target come una cozza; penso che i film siano esperienze come tutte le altre, come andare al mare, mangiare un gelato, andare in montagna e tutto il resto. Se una cosa è bella, è bella per tutti, grandi e piccini, poi i più piccoli l’apprezzeranno più per certe cose, i grandi per altre, i medi per altre ancora; l’importante è che la cosa sia di qualità. Ovviamente a seconda del pubblico puoi avere delle attenzioni particolari, come con un pubblico particolarmente piccolo e particolarmente sensibile a determinati temi; quindi cerchi di affrontarli con la delicatezza giusta, ma anche con coraggio. Questa è una cosa che mi porto dietro da tutti gli studi pedagogici che ho fatto: la necessità, quando crei qualcosa per un pubblico, di capire le sue esigenze, di dare risposte alle sue domande. Il mercato dell’animazione negli ultimi vent’anni ha fatto fatica a dare queste risposte, per paura sostanzialmente delle reazioni isteriche dei genitori.
Questo tipo di preoccupazioni, che negli anni hanno di fatto svuotato molti cartoni animati di contenuti importanti, ha tolto ai ragazzi la possibilità di avere delle risposte a dei problemi o delle domande che comunque hanno. Non è che togliendo le risposte si eliminano le loro domande; semplicemente i ragazzi o non troveranno le risposte oppure le troveranno da qualche altra parte, magari trovando quelle sbagliate, vedi la pornografia. Quindi forse è importante parlare di sessualità in un cartone animato, perché è sicuramente una delle cose su cui i ragazzini si interrogano, e devi avere il coraggio di parlarne dando le risposte giuste.
Mani rosse va consapevolmente in questa direzione e affronta un tema come quello della violenza sui minori, fisica e psicologica, che non è propriamente frequentato, almeno non dall’animazione tradizionale. La sfida è proprio questa: cercare di essere commerciale in senso positivo, cioè di non essere il prodotto “di super-nicchia”, da festival e basta. L’idea è quella di un prodotto che possa veramente piacere ai ragazzi, proprio perché affronta certi temi; devo dire che il fatto che la Rai abbia deciso di sostenere questo film le fa onore, perché affronta un filone di mercato nuovo anche per loro. Quindi il fatto che credano in un prodotto in qualche modo sperimentale è qualcosa che ci voleva, una bella scommessa. Vediamo come andrà, magari resterà un prodotto di nicchia da festival (ride).
Chiudiamo con qualche consiglio spassionato. Tre opere d’animazione che consiglieresti a chiunque?
Allora… di Miyazaki tutto va bene, ma se dovessi scegliere tra i suoi penso che sceglierei Totoro; per quanto riguarda Dezaki, forse la serie di 10 OAV di Black Jack; poi direi Millennium Actress di Satoshi Kon, un film geniale, godibilissimo per tutti, cinefili e non; come bonus, un Tex Avery al giorno toglie il medico di torno (ride).
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