Cosa accadrebbe se a un ragazzo fosse dato il potere di vendicarsi su chi gli ha fatto un torto? È la domanda attorno a cui Yorgos Lanthimos costruisce “The Killing of a Sacred Deer”, nelle sale italiane dal 28 giugno.
Colin Farrell – alla sua seconda collaborazione con il regista – interpreta Steven Murphy, chirurgo di successo sposato con Anna (Nicole Kidman). La coppia ha due figli e una grande casa immersa in un quartiere di lusso fuori città, ma vive una vita vuota di sentimenti.
All’insaputa della famiglia, Steven stringe un legame con Martin (Barry Keoghan), uno strano ragazzo rimasto orfano di padre. I loro incontri sembrano quelli di una coppia clandestina, e ricucendo a poco a poco i frammenti delle loro conversazioni, si intuisce che tra i due vige una sorta di patto, i cui dettagli sono, in un primo momento, poco chiari. Steven decide di presentare Martin alla famiglia, e il ragazzo inizia a frequentare regolarmente la casa dei Murphy.
Tutto sembra andare bene, fino a quando Martin rivela a Steven che un destino orrendo e inesorabile si abbatterà sui membri della sua famiglia, e la colpa è sua. Il filo della tensione tessuto fino a quel momento si spezza, e lo spettatore è gettato, al pari dei personaggi, in un labirinto surreale e claustrofobico, alla rincorsa di una espiazione che richiederà il pagamento di un prezzo altissimo: il sacrificio di un innocente.
Per il titolo, il regista si ispira alla tragedia euripidea “Ifigenia in Aulide”. Figlia di Agamennone, Ifigenia è destinata a essere sacrificata per assicurare la buona riuscita del viaggio della flotta greca. All’ultimo momento, la ragazza verrà salvata dalla dea Artemide, che al suo posto sacrifica una cerva. L’animale sacrificale è il centro della riflessione di Lanthimos, simulacro della scelta di trasferire simbolicamente le proprie colpe su un capro espiatorio che ci permetta, al tempo stesso, assoluzione e preservazione della vita.
Quest’ultima opera del regista greco può forse essere letta come una risposta al finale sospeso di “The Lobster” (spero che lo abbiate visto tutti, nel caso SPOILER ALERT): quando al protagonista viene chiesto di mutilarsi per omologarsi alla condizione dell’amata, la mano esita. E non potrebbe essere altrimenti.
Tra horror paranormale e distopia del contagio, “The Killing of a Sacred Deer” è la cronaca del tempo di una scelta che era chiara fin dall’inizio, tanto abominevole quanto inevitabile. Il regista interroga lo spettatore sull’ipocrisia dei rapporti umani e mostra il crudele egoismo dietro le decisioni dell’individuo, dettate non dall’amore, ma dall’assoluta necessità di non soccombere.
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