Il romanzo We the Animals, scritto da Justin Torres e pubblicato nel 2011, ricevette critiche molto positive. Il film omonimo che ne è stato tratto, diretto da Jeremiah Zagar, sta ricevendo, meritatamente, lo stesso entusiasmo. Primo lungometraggio di finzione diretto dal documentarista Zagar, è un racconto di formazione con protagonisti tre fratelli, Jonah (Evan Rosado), Joel (Josiah Gabriel) e Manny (Isaiah Kristian), nati da una coppia interrazziale del basso ceto economico, che vivono la loro giovane vita tra tutte le difficoltà date dalla loro condizione.
Zagar si mostra a suo agio nel trattare l’argomento; la sua minuzia nel raccontare tramite le immagini si adatta benissimo anche al film di finzione. Diversi eventi ricchi di emotività vengono inclusi nella trama: le violenze eseguite dal padre (Raùl Castillo), la solitudine della madre (Sheila Vand), i tentativi di furto dei ragazzini, il trasloco. Ciò che emerge è una pellicola in grado di prendersi i propri tempi, dosando i dialoghi con sapienza e usando un approccio molto tendente al realismo, tranne per un particolare importante di cui si parlerà a momenti.
Il rapporto umano in We the Animals è fondamentale. Coloro che lo hanno paragonato al grande successo di critica di Barry Jenkins, Moonlight (2016), non hanno sbagliato: i due film condividono infatti numerose tematiche, situazioni e approcci. Ciò che però contraddistingue davvero il film di Zagar è l’utilizzo dell’elemento onirico: Jonah per fuggire dalla realtà che lo circonda si rifugia nella propria immaginazione, e il regista mette in scena questi attimi di fuga sia tramite l’uso di sequenze irrealistiche, prima fra tutte una nella quale Jonah si ritrova a volare sovrastando il bosco vicino, sia tramite l’animazione. Un’animazione i cui disegni hanno tratti appositamente grezzi, in modo da sembrare dei disegni di un bambino su un foglio di quaderno.
In fondo, la storia che viene raccontata è quella di un’infanzia, con tutte le sue caratteristiche. I tre fratelli si riuniscono più volte durante il film, mettendosi sotto una coperta e sussurrando ripetutamente la parola “calore”, trasmettendosi (appunto) calore a vicenda, in senso sia letterale che figurato. La storia di un’infanzia che però devia senza tregua dai propri binari, poiché la vita costringe i ragazzini a crescere prima del tempo: il loro “rituale” del calore infatti verrà col tempo abbandonato nel corso del film. Nei fratelli maggiori subentrerà semplicemente una condizione di freddezza. Per Jonah il discorso è diverso, dato che nel suo caso l’affetto fraterno sarà sostituito da quello sentimentale/sessuale. Il ragazzino scoprirà infatti, durante l’incontro con un amico conosciuto in precedenza, la propria omosessualità: altro punto in comune con Moonlight e caratteristica che aggiunge un ulteriore elemento di scoperta al racconto di formazione. Si spera soltanto che le vicinanze al film di Barry Jenkins non risultino controproducenti, relegando We the Animals allo status di mera imitazione, perché questo non è proprio il caso.
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