Talvolta i festival molto grandi e popolari come il Biografilm Festival di Bologna si può avere l’occasione di vedere (o ri-vedere perché sicuramente male non fa) alcuni prodotti che altrimenti sarebbe veramente impossibile recuperare. Ed è proprio questo il bello dei festival.
Una di queste occasioni è stata martedì 19 giugno al Cinema/Teatro Galliera di Bologna dove è stato proiettato il documentario Così in terra di Paolo Santolini già trasmesso in prima  serata l’8 giugno 2018 per Rai3.
Alla proiezione erano presenti il regista e il produttore del documentario Paolo Benzi, insieme a Simonetta Albertini, direttrice della Fondazione Unipolis, e Rita Ghedini, presidente di Legacoop, entrambi sponsor del film e della serata.
A introdurre il film è lo stesso regista che ringrazia tutti gli ospiti presenti e il pubblico, il quale ha l’occasione di incontrare una persona di grande carisma, responsabilità e coraggio quale è Don Luigi Ciotti.

E, in effetti, il documentario è un vero e proprio comizio di 82 minuti in cui viene mostrata la vita del fondatore di Libera attraverso due anni passati in viaggio lungo tutta l’Italia.
Due anni di comizi, di preghiere continue e riflessioni attorno al valore della legalità, di ascolto nei confronti dei numerosi volontari dell’associazione.
E poi ci sono i momenti più intimi e personali dell’uomo-Ciotti: quando in macchina con la scorta lamenta di essere un po’ stanco dopo aver fatto più giorni di comizi di seguito, quando si ritira a riflettere e quando, improvvisamente, nei sentieri di montagna comincia a correre a perdifiato costringendo la scorta a inseguirlo su e giù per le valli e colline attorno.

Si tratta di un ritratto molto personale e umano di una delle figure pubbliche più importanti del paese, ricostruito come meglio si poteva fare, convenzionale per quanto riguarda il formato e la struttura (si tratta pur sempre di un prodotto pensato per essere trasmesso in televisione a un determinato tipo di pubblico) ma non per quanto riguarda i contenuti.

Non è stato facile convincere Don Ciotti a fare questo documentario. Ci abbiamo messo due anni io e Paolo (Benzi, il produttore) per convincerlo, poi improvvisamente ci ha chiamato lui dicendo che si poteva fare“. Così il regista parla della lavorazione che c’è stata per poter girare questo lavoro.
In genere un film documentario lo devi scrivere, pensare e poi montare, un lavoro che richiede normalmente mesi e mesi di scrittura e riscrittura. Con Don Ciotti non è possibile un lavoro del genere perché lui è sempre in viaggio, sempre in movimento. Così abbiamo dovuto adeguarci ai suoi ritmi e limitarci a seguirlo con la telecamera in spalla, filmando il più possibile e poi tagliando le parti superflue. Quello che vederete è il frutto di questo lavoro frenetico, e ci siamo pure limitati: con tutto il materiale giarto sarebbe potuto diventare un film di dieci ore!

In effetti, a prima vista, il film potrebbe sembrare solo un semplice collage dei vari discorsi fatti da Don Ciotti in questi anni, con l’aggiunta di interviste televisive inedite risalenti ai primi anni 70, ottenuti grazie al lavoro delle Teche Rai, in cui il giovane, ma già consapevole del proprio ruolo, don Luigi parla del Gruppo Abele, primo nucleo da cui è partito tutto il lavoro di Libera.
In realtà si intuisce che dietro questo film c’è stato un grande lavoro di “documentazione sul campo” n cui il regista e il produttore hanno cercato di ricostruire una giornata-tipo di Don Ciotti.
Una giornata scandita dai continui cambiamenti di posizione, in cui tutto si sa solo all’ultimo momento, per cui è impossibile qualsiasi tipo di programmazione.

In questo contesto quello che emerge è soprattutto il senso di solitudine di quest’uomo che ha dedicato tutta la sua vita alla lotta contro la mafia e la corruzione. un percorso certo non facile e mai privo di avversità, ma vissuto pienamente con tutta la forza che scaturisce dalle sue parole.

Risulta veramente impossibile rimanere indifferenti a questa lunga carrellata di discorsi in cui vengono citati, uno ad uno, i nomi delle vittime della mafia (non solo quelli illustri, ma anche e soprattutto quelli delle vittime civili e delle forze dell’ordine) e ne viene denunciato il potere, non solo economico.

La forza del film di Santolini è proprio basato sui dialoghi-monologhi del suo protagonista principale (insieme a lui gli uomini della scorta, per la prima volta mostrati nel loro lavoro quotidiano). Questo sopperisce alla mancanza di struttura che sembra vere il prodotto e diventa così il vero fulcro di tutto. non bisogna pensare che il film sia noioso o anti-filmico perché più dialogico che visivo (come normalmente si cerca di evitare). Tutti gli 82 minuti di pellicola scivolano via velocemente e quello che rimane allo spettatore sono più dubbi e domande che risposte, ma sono proprio i dubbie le domande che sono necessarie per capire il problema della criminalità organizzata e del suo influsso sulla società.

Abbiamo realizzato un film istantaneo proprio perché basato sulla sua necessità” spiega sempre il regista “è una rappresentazione diversa del paese, l’abbiamo voluto realizzare con una sana neutralità partigiana, lontano da qualsiasi etichetta politica. Il che potrebbe apparire come un controsenso, ma se si osserva da vicino, si capisce che è una scelta obbligata poiché il problema mafioso è veramente un problema di tutti

Anche perché una figura come quella di Don Ciotti difficilmente è incasellabile in una qualsiasi etichetta, e per questo motivo anche un film dedicato a lui non poteva che essere tale.

Si tratta di un uomo straordinario, da quando ha 17 anni (età in cui ha iniziato di occuparsi di questi temi, ndA) dorme circa 4 ore a notte… si tratta di una persona spiazzante in tutti i sensi e anche per i suoi collaboratori storici rimane sempre un mistero… inoltre ci tiene sempre a ricordare che è un prete anche se ha vissuto il Vangelo a modo suo. per lui si tratta di un vero e proprio testo politico

Non sono mancati aneddoti divertenti sulla lavorazione del film: “In tanti giorni in macchina avremo parlato sì e no 10 minuti, è una persona che parla poco ma riesce comunque a trasmetterti la sua energia… la scena più difficile è stata sicuramente quella in cui si mette a correre per la strada di montagna, ho dovuto inseguirlo con la telecamera in spalla (ride), infatti la scena è molto mossa, ma non poteva essere altrimenti, non ci sono fronzoli, la sua vita è proprio così come la vedete nel documentario. Tra l’altro lui vive la sua condizione (da più di dieci anni vie sotto scorta, ndA) con molta serenità anche se traspare continuamente la sua evidente sofferenza, ma è stata una sua scelta e ne è consapevole. Si tratta di una persona coerente con sé stessa e per questo piace molto ai giovani, perché è come loro, ragiona ancora come loro. Nei suoi discorsi a volte è attore, a volte animale dotato di ferocia, però ci ritrovi sempre una certa coerenza. Lui è sempre lui anche se è pieno di tutte queste sfaccettature; credo che abbia accettato di fare questo film anche per avere una piena consapevolezza di sé dato che non si è mai visto al di fuori; il risultato? dopo 82 minuti di sofferenza (da parte sua) ha detto che non riusciva a guardarsi, però capiva quello che volevamo dire ed era d’accordo. Poi se n’è andato senza dire niente, come suo solito

Così in terra è un interessante “road movie” alla scoperta di un uomo particolare e del paese in cui vive, entrambi pieni di sfaccettature e contraddizioni. Un film che è caldamente consigliabile per chi desidera avere un occhio particolare e fuori dagli schemi sul mondo.

Immagine tratta da Così in terra – su gentile concessione di Ufficio Stampa Biografilm festival

 

 

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