Come artista, Peter Greenaway fa parlare di sé da sempre. Il suo stile e i suoi contenuti, spesso controversi e sempre complessi, risaltano nel panorama cinematografico nei modi più vari. Il suo celebre Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante (1989) diede addirittura un contributo notevole nell’evoluzione del sistema di rating delle pellicole operato negli Stati Uniti dalla MPAA, l’associazione dei produttori cinematografici: di fronte alle proteste del pubblico per la distribuzione di scarsa portata, limitata a causa della violenza e della scabrosità dei contenuti, l’associazione dovette modificare i propri criteri, riconoscendo il valore artistico dell’opera di Greenaway nonostante la natura controversa di quest’ultima. The Greenaway Alphabet ci mostra l’uomo dietro tutto questo. Diretto dalla moglie Saskia Boddeke, il film presenta il filmmaker britannico nel corso di varie conversazioni, avvenute nel corso di tre anni, con la sua intervistatrice d’eccezione: Pip Greenaway, figlia di Peter e Saskia. Per stimolare la discussione, Pip e Saskia utilizzano un sistema tanto schematico quanto efficace: ripercorrere l’alfabeto latino associando ad ogni lettera una particolare parola e chiedendo a Peter il suo parere su ognuna di queste.
Ne emerge il ritratto di un artista fuori dalle righe, cosa comunque chiara a chiunque abbia visto i suoi lavori. Le tematiche da egli affrontate, la sua poetica e la sua idea di cinema traspaiono durante tutto il film, grazie anche alle particolari parole associate alle lettere. Questo espediente viene supportato da una regia consapevole, che adotta vari accorgimenti a seconda dell’argomento che si sta affrontando. Un ottimo esempio è dato dalla conversazione in cui Pip e Peter parlano della profondità di campo durante una visita oculistica di quest’ultimo: il regista, amante della pittura prima ancora che del cinema, spiega come nelle sue pellicole ogni elemento venga messo a fuoco. L’obiettivo è riprodurre l’aspetto visivo di un quadro, nel quale non ci sono elementi “fuori fuoco”. Durante questo discorso, Boddeke sfoca volutamente la pellicola, in modo da creare un contrasto che susciti ilarità negli spettatori.
Attraverso The Greenaway Alphabet vediamo anche la parte più umana di Peter, che tramite le parole scelte per rappresentare le lettere esterna le sue convinzioni sulla vita, la famiglia e il mondo. In particolare, alla lettera D vengono assegnate sia “Death” (morte), che “Drowning” (annegamento), permettendo di iniziare un discorso che riguarda Greenaway sia come artista che come essere umano: il titolo originale del suo famoso film Giochi nell’acqua, è infatti Drowning by Numbers. L’acqua, fonte di vita e di morte, impaurisce il regista e ricorre spesso nel suo cinema, ed anche in Alphabet viene usata come elemento di associazione con le sue opere, con scene che lo vedono immergersi in acqua o camminare in riva al mare insieme alla figlia.
Il discorso sull’acqua si intreccia con quello sulla morte, della quale il regista afferma di non essere preoccupato. Addirittura egli afferma di voler terminare volontariamente la propria vita una volta compiuti 80 anni (ne ha attualmente 76). Tale idea non può non preoccupare sia Saskia che Pip, che si dimostra il perfetto contraltare alle bizzarrie di suo padre: amorevole, curiosa e attaccatissima alla vita, comprensibilmente data anche la giovane età, proprio per queste caratteristiche rappresenta l’interlocutrice ideale per il tipo di storia che Saskia vuole raccontare. Nei momenti che vedono padre e figlia camminare insieme sulla riva del mare e verso l’orizzonte si nota tutta l’umanità di un uomo apparentemente freddo e irreprensibile come Peter Greenaway; anche se non sembra trasparire convinzione quando ne parla, l’amore gli è in realtà indispensabile.
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