Qualche settimana fa è uscito l’ennesimo lungometraggio appartenente alla mitologia di Star Wars. Questa volta non si tratta di una pellicola della saga cardine bensì dello spin-off su Han Solo, Solo: A Star Wars Story. Il film ha avuto una produzione turbolenta e problematica, ricucita solo parzialmente dal veterano, Ron Howard.
Questo secondo spin-off è complessivamente complicato da valutare in quanto possiede sia delle qualità pregevoli ma anche delle notevoli mancanze. Purtroppo si concentra sul personaggio più amato della saga starworsiana ed ha l’arduo compito di proporre un giovane nuovo attore nella parte che fu di Harrison Ford. La nota negativa e che “ammazza negativamente” il film è la poca voglia di osare, proponendo una sceneggiatura fin troppo tradizionale e figlia di un certo modo di fare cinema tipico degli anni Ottanta. Non è un caso che Lawrence Kasdan, sceneggiatore della pellicola insieme al figlio Jake, si proprio il classico autore proveniente dalla cinematografia degli anni Ottanta. Autore di L’impero Colpisce Ancora e de I predatori dell’Arca Perduta, due cult di quegli anni.
Proprio la sceneggiatura è l’apparato maggiormente discutibile in quando presenta degli spunti e delle trovate molto banali e dei punti di svolta classici, leggibilissimi e privi di una storyline ben congegnata e strutturata. Anche i dialoghi sono molto semplici e per molti versi banali e discutibili. In particolare, manca la caratterizzazione dei personaggi. Han Solo si conosce ma le genesi del suo personaggio ha un background insulso e pieno di forzature. Solo è già cosi: arrogante, ribelle, ottimo pilota ma la figura è priva di un arco in crescendo e di epicità. Lo stesso dicasi per la controparte femminile, Qui’Ra, un personaggio insulso e che non aggiunge nient’altro alla mitologia o al proseguito evolutivo di Han. Dal punto di vista narrativo, l’interesse amoroso è il motore della storia ma è talmente semplicistico e ripetitivo che per essere un film di Star Wars è alquanto imbarazzante. I legami tra i vari personaggi nascono in modo discutibili e l’unico momento buono è la nascita, casuale, dell’amicizia tra Chewbacca e Han. Il Lando di Donald Glover viene inserito per via del Falcon ma a livello di storia non aggiunge niente. Non fornisce nessun contributo rilevante.
Il film scorre e si concentra sul genere avventuristico con molti riferimenti al mondo automobilistico poiché nella pellicola ci sono molti inseguimenti con automezzi. Sotto certi aspetti è “colpevole” di far parte della mitologia di Star Wars. Se fosse un film nuovo e con personaggi nuovi avrebbe un giudizio meno negativo, tuttavia, facendo parte di quell’universo, i giudizi devono per forza guardare ad una prospettiva più ampia.
Ron Howard non riesce a salvare il film. Forse l’ha diretto per cortesia perché molte scene non sembrano avere il calore tipico del sui film. Una regia classica, mai sopra le righe ma che, impalpabile, non riesce a fornire al lungometraggio un cuore e un’anima. Gli attori, se pur non cosi’ male, non riescono a risollevare il film e alla fine, anche le loro interpretazioni vengono fagocitate dalla pochezza complessiva.
Il risultato? Solo è un film mediocre, dimenticabile e impalpabile. I pochi momenti epici, tipici della saga di Star Wars, non emergono e anzi, spesso, vengono “affossati” e abbassati di tono, come a voler dire “questo è un film di Star Wars ma non è Star Wars”. Sia la conquista del Millennium Falcon che la mitica Rotta di Kessel in 12 Parsec, si rivelano deludenti e prive di quei momenti di gloria e di epicità spettacolare. Sconfortano i fan. Manca di personalità, di forza e di carisma. Assolutamente perdibile e trascurabile all’interno del franchise di Star Wars.
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