Il fumetto e l’animazione hanno spesso svolto la parte di grandi crocevia nei quali numerosi aspetti della cultura umana si trovavano a condividere uno spazio e ad essere rielaborati in nuove forme. Il fumetto Mutafukaz dell’autore francese Run (pseudonimo di Guillaume Renaud) si inserisce perfettamente in questa tendenza, e lo stesso vale anche per l’omonimo lungometraggio animato che ne è stato tratto, diretto nel 2017 dallo stesso Run insieme a Shōjirō Nishimi. Il fatto che il film sia una coproduzione franco-giapponese è perfettamente coerente con l’estetica che Run mostra all’interno del suo fumetto, nel quale l’influenza dei manga è evidente.

Il film animato di Mutafukaz condivide le scelte estetiche con il fumetto da cui deriva. Stile grafico e animazioni rimandano in grande misura ad illustri produzioni animate giapponesi. In particolare, l’opera alla quale il film si ispira con più evidenza è Tekkonkinkreet (2006) di Michael Arias, che aveva come direttore delle animazioni proprio uno dei due registi di Mutafukaz, Shōjirō Nishimi. Il più chiaro punto in comune tra le due opere è l’ambientazione urbana: ognuno dei film mostra una metropoli caotica e spietata che costringe i suoi abitanti a una quotidiana lotta per la sopravvivenza. Le animazioni fluide e dinamiche, comuni a entrambi i film, sono al servizio di un character design decisamente bizzarro, nel quale esseri umani dalle fattezze comunissime condividono l’esistenza con animali antropomorfi e creature umanoidi dalle forme più disparate. Il protagonista di Mutafukaz, Angelino, e il suo più caro amico Vinz, corrispondono in pieno alla descrizione: testa ed occhi sproporzionatamente grandi il primo, corpo fatto di sole ossa e cranio ricoperto di fiamme il secondo. I due ragazzi, coinquilini squattrinati e in varie difficoltà, lottano contro le normali avversità della vita nell’immaginaria città americana di Dark Meat City, fino a quando avversità molto più terribili li costringeranno a fuggire e combattere.

La città in questione, situata in quella che nel film viene chiamata Nuova California, è evidentemente una rivisitazione in chiave pessimistica di Los Angeles: una città nella quale moltissime diverse culture si sono intrecciate nel corso dei secoli, esattamente come accade a Dark Meat City. Tale città diventa estensione diretta dell’immaginario del film; Mutafukaz presenta infatti un’enorme commistione di elementi provenienti da ogni aspetto della cultura popolare, oltre all’estetica di matrice orientale.

L’hip-hop ad esempio, forma di cultura che ha in Los Angeles uno dei suoi centri più importanti, permea l’atmosfera del film in quasi tutta la sua durata, dalla colonna sonora (che comunque non disprezza neanche tracce dubstep o classiche orchestrali) alla pittoricità di vari ambienti e personaggi. La sua influenza si nota persino nella scelta dei doppiatori: Angelino e Vinz sono doppiati rispettivamente da Orelsan e Gringe, rapper francesi appartenenti al duo Casseurs Flowters, molto noto in patria. Proprio come se fosse il testo di un pezzo gangsta rap, il film esplora Dark Meat City nei suoi quartieri più oscuri. Tali luoghi ricordano in modo inequivocabile Compton, la zona di Los Angeles più associata, nell’immaginario comune, a criminalità e violenza. I suoi abitanti sono tutti afroamericani o ispanici, gruppi etnici maggioritari a Compton, e vestono di viola o verde proprio come le gang che realmente operano nel quartiere losangelino. L’impronta ispanica si fa notare anche con la comparsa di un misterioso gruppo di luchadores, all’apparenza semplici wrestler ma in realtà detentori di un ruolo molto più grande.

Come già si poteva evincere, l’elemento fantastico è fondamentale in Mutafukaz: l’esistenza stessa di personaggi inumani/sovrumani è la base su cui viene costruita la trama dell’opera. Gli antagonisti stessi sono legati a questo aspetto, in un ruolo che li vede inseriti in ogni ambito del potere nel mondo. I dialoghi che li coinvolgono spesso non sono all’altezza, tra spiegazioni troppo lunghe e pedanti, o viceversa semplicistiche e tendenti al qualunquismo.

Questi bassi sono comunque compensati da momenti di grande efficacia nella seconda parte della storia. In particolare, l’inizio della rivolta cittadina ha una forza notevole: dopo un massacro eseguito dai servizi segreti nel ghetto di Dark Meat City, in tutta la città scoppia una rivolta, proprio come accadde nella vera Los Angeles nel 1992 dopo l’assoluzione degli agenti di polizia responsabili del pestaggio a Rodney King. Dato però che Mutafukaz si svolge durante l’equivalente della nostra attualità, i telegiornali di Dark Meat City non esitano a definire la rivolta un atto terroristico, unendo così le paure e le tensioni di ieri con quelle di oggi. Inoltre le battute finali del film concedono allo spettatore di rivalutare molti personaggi. I luchadores già descritti si rivelano un gruppo ribelle che intende realizzare un piano ben preciso per sconfiggere i villains, mentre gli abitanti del ghetto finiscono col risultare fondamentali nella battaglia finale. Su queste note di speranza si chiude la trama della pellicola, ricordandoci che il male puro è in realtà molto più raro di quanto si possa pensare, sovrastato da un’infinita varietà di sfumature. E forse uno dei modi migliori per rappresentarlo è proprio l’utilizzo di un linguaggio come quello di Mutafukaz, altrettanto ricco di sfumature.

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