Il fenomeno dei revival televisivi non è nuovo, anzi, questo fenomeno sta prendendo piede, e spesso una serie di successo viene riproposta sul piccolo schermo per ripresentare la storia alle nuove generazioni. Il più delle volte è il genere sci-fi che viene rilanciato, riadattato e riproposto in una nuova veste, in quanto i cambiamenti tecnologici hanno ampliato le potenzialità del genere. Inoltre, la fantascienza è da sempre promulgatrice di valori umani molto forti e piena di riferimenti etici e filosofici. Parlare dell’ipotetico futuro inserendo metafore e allegorie per raccontare il mondo e i cambiamenti dell’oggi.
Il 13 aprile Netflix ha rilasciato le 13 puntate di Lost in Space, remake dell’omonima popolare serie degli anni Sessanta, andata in onda dal 1965 al 1968. Nel 1998 fu realizzata una versione cinematografica ma, nonostante dei nomi importanti nel cast, fu un sonoro flop che affossò completamente le potenzialità del progetto. Netflix con questo remake si conferma volenterosa nel proporre serie per famiglie, puntando ad un intrattenimento più ampio e aperto a qualsiasi tipologia di spettatori.
Le premesse rimangono invariate a quelle della serie degli anni Sessanta e del film degli anni Novanta. La famiglia Robinson è diretta su Alpha Centauri per ricominciare la una nuova vita ma, per una serie di sfortunati eventi, si ritrova sperduta su un pianeta ostile e alieno.
Il concetto di famiglia non solo è rilevante per quanto riguarda la strategia produttiva, ma è rimarchevole perché Lost in Space ha come protagonista una famiglia, i Robinson. È proprio il nucleo famigliare che subisce il riadattamento più significativo: si adatta alla contemporaneità e viene allargato cosi come nell’attualità. I Robinson sono una famiglia moderna, hanno tre figli ma una tra questi, meticcia, è figlia di una precedente relazione. Una scelta opportunistica che però si rivela vincente e idonea per sopravvivere al mondo televisivo odierno, pieno di prodotti maturi e pieni di sfaccettature. Inoltre, avere come protagonista un nucleo famigliare permette agli spettatori di trovare un personaggio in linea con i propri gusti, perciò diventa semplice creare un legame emotivo ed empatico, elemento a cui le serie tv d’oggi mirano. Una famiglia moderna e allargata, figlia del mondo di domani (o dell’oggi).
I membri della casata sono modellati seguendo schemi universali ed un concetto di nucleo odierno, con riferimenti diretti alla struttura famigliare contemporanea. A comandare non è più il padre militare, ma la madre Maureen, brillante scienziata che, come una leonessa, fa di tutto per salvaguardare i propri figli. Una figura femminile tuttofare, empatica, autonoma e in grado di superare qualsiasi situazione. Un po’ come una madre dei nostri giorni che si deve destreggiare in ogni direzione per gestire la famiglia. La figlia maggiore Judy, avuta da una precedente relazione di Maureen, è studiosa e paziente. Penny è goffa, ironica e pigra mentre il più piccolo, Will, è un ragazzino tanto brillante quanto fragile. Il bambino vive una delle parabole più importanti ed è, per certi versi, il fulcro della serie. Insicuro e impaurito subisce un percorso di crescita involontario e accelerato. Non si sente pronto a dare il suo contributo e perciò la sua spensieratezza lo porta a creare una relazione amicale con un robot alieno.
Lost in Space però non è una serie “moderna” solamente per quanto riguarda il nucleo famigliare; lo è perlopiù per come affronta le tematiche ecologiche dovute all’abbandono del pianeta Terra che si ritrova danneggiato e impoverito dai repentini cambiamenti climatici, causati alla cattiva gestione dell’ecosistema naturale da parte dell’umanità. I Robinson si ritrovano su un altro pianeta dall’ecosistema instabile e perciò, in alcuni casi, si può trovare una sottotrama ecologica in questa prima stagione. Non solo, oltre ai riferimenti dell’ecosistema, si parla anche di diversità, di comunità e del rapporto con sé stessi. Tematiche che toccano principi etici e biologici fortemente dibattuti al giorno d’oggi.
Infine, Netflix opera un cambiamento di genere importante e sempre figlio della contemporaneità. Ad un certo punto della serie, il dottor Smith da uomo diventa una donna attraverso uno stratagemma narrativo semplice, funzionale e ben riuscito. Tale cambiamento conferma la volontà di presentare uno show fresco e incline a seguire la cronaca, dando maggior spazio a ruoli femminili. Una scelta che aumenta maggiormente la curiosità e la prospettiva della serie. Il personaggio della dottoressa Smith, a parte il genere, si conferma fedele allo spirito originale: furba, manipolatrice e disposta a tutto pur di salvarsi. Anche in questo revival, crea un forte legame con il piccolo Will e l’unica modifica radicale del personaggio è il fatto che in realtà questi non sia un dottore. Tuttavia Smith, interpretata dall’ottima Parker Posey, agisce seguendo delle motivazioni chiare e comprensibili. Attraverso dei flashback vengono offerti dei retroscena che rafforzano il ruolo e generano sentimenti contrastanti in quanto personaggio ambiguo che si muove sulla linea sottile di giusto/sbagliato, buono/cattivo.
Quindi, complessivamente, la prima stagione si conferma soddisfacente ed emozionante. Un’avventura spaziale ben scritta, con personaggi ben sfaccettati e riusciti, e in grado di intrattenere e, spesso grazie agli ottimi effetti speciali, di incantare. Incentrata sulla famiglia Robinson, Lost in Space presenta numerose sfaccettature e sottotrame che parlano di argomenti universali molto di moda nel periodo attuale. Un ritmo avvincente e mozzafiato in grado di offrire il giusto mix di emozione ed azione. Un revival figlio dell’oggi che si rivela anche una serie matura, complessa e adatta al panorama televisivo contemporaneo.
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